So bene si essere inattuale e di non comprendere l’enorme importanza di suonarle a quei cattivoni della casta, ogm di Andreotti e altre volpi della Repubblica del pentapartito. Sono consapevole che il mio moderatismo fa a cazzotti con l’eroico furore verbale di una parte dei Cinque Stelle. Sono conscio di non comprendere la necessità e l’urgenza della battaglia verbale, in questo momento terribile della vita democratica e repubblicana della patria; la quale ha la Costituzione più bella del mondo, tante fughe di cervelli, la memoria di Ruby e l’oblio imperdonabile del Mezzogiorno.
Ciò posto, premesso che potrei avercela con qualcuno per imprecisate ragioni da attribuirmi a piacere, vorrei fermarmi un momento sull’antagonismo inutile. Per concretezza, porto un esempio vivente e recentissimo in proposito: quello di Andrea Colletti.
Ieri il deputato Cinque Stelle ha sferrato un attacco tremendo al presidente del Consiglio Enrico Letta. Talmente forte che il palazzo ha tremato e non c’era nessuna farfalla a Washington né in tutti gli Usa. Per inciso, pare che Chomsky fosse al gabinetto e stesse leggendo Ravelstein di Saul Bellow.
L’onorevole Colletti – io ricordo bene un altro parlamentare Colletti, di cui ora non ho modo di riferire – ha significato a Letta junior che egli «è l’esemplificazione della trasversalità, degli accordi alle spalle dei cittadini», poi aggiungendo che «venerava un certo Giulio Andreotti, prescritto per concorso esterno ad associazione mafiosa» e che «è anche il nipote di Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi, amnistiato per finanziamento illecito dei partiti; indagato da varie procure d’Italia».
Ora, usciamo del tutto dall’esempio di cronaca e facciamo un’astrazione che non ha alcun riferimento, neppure analogico, al presidente del Consiglio in carica. Mettiamo il caso che un governante fosse il più grande ladro, farabutto e criminale della storia, un bancario potentissimo cresciuto a spintoni e protetto dalle mafie internazionali. Avrebbe senso, nota la sua storia, dirgli qualcosa tipo «lei è un essere spregevole, amico della ‘ndrangheta e dei colombiani, membro del segretissimo gruppo X e parente – che so – di Gheddafi»?
Ancora, se il governante fosse, invece, l’anello di una più complessa catena, potremmo considerare come male assoluto certe sue parentele legate a Berlusconi?
La verità è che le masse s’impressionano facilmente e cercano emozioni. Da un lato le masse combattono virtualmente nemici di carta; dall’altro, chi organizza – o dice, spiega – il dissenso ricorre spesso a semplificazioni che oggi appaiono perfino ridicole, essendo l’Italia commissariata dalla finanza privata americana, tramite gli obblighi di politica economica imposti dall’Ue.
Mi torna in mente il caro Maurizio Blondet e tutto il suo discorso sulla «formidabile ascesa dell’antagonismo anarchico». Tale antagonismo non ha una direzione e non vuole assumerne alcuna, benché si dovrebbe tendere alla stabilità esistenziale e dei popoli, che manco, però, si riesce a proiettare.