Ancora una volta non se ne farà nulla! È questo quello che viene da pensare guardando la composizione del nuovo governo. Della regolamentazione delle tv, dico e, più in generale, dei giornali e del mondo dei media, internet incluso. Non parlo del conflitto d’interessi, che è un problema, ma non il cuore della questione quando si parla di media e del loro rapporto con la politica. I nodi centrali sono altri e riguardano: la proprietà dei media, l’assetto della Rai, la regolamentazione del mercato pubblicitario, l’evoluzione di internet.
Perché sì, parlare di media significa sostanzialmente parlare di questioni legate alla libertà di informazione (siamo solo 57mi nel mondo) e alla capacità di sfruttare le tecnologie dell’informazione (Italia al 50mo posto nel mondo). E quindi questioni che hanno a che fare con la vita di tutti noi e non soltanto con le regole di un settore produttivo.
Ma queste questioni che una politica vera dovrebbe affrontare, anche questa volta resteranno inevase e, almeno in maniera esplicita e diretta, eluse, perché la politica in Italia ha una straordinaria capacità di interessarsi dei media “senza” occuparsene. Lo ha fatto in varie fasi dagli anni Sessanta in poi, dai tempi del decreto per l’armonico sviluppo dell’editoria fino alla non-riforma della Rai del governo Monti, passando per la stupefacente stagione dal Caf in cui per ben 14 anni il Parlamento si guardò bene dal legiferare, lasciando che il mercato radio televisivo proliferasse più o meno selvaggiamente.
È fuor di dubbio che lo farà anche adesso, perché un governo così “equilibrato”, in un momento così difficile, sembra fatto apposta per interessarsi dei media senza occuparsene.
Ma se, per ipotesi assurda, questo governo volesse sorprenderci, dov’è che dovrebbe mettere le mani?
Sono molti punti, diversi ma connessi fra loro. In primis la proprietà dei media, sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello quantitativo (chi può possederli, quanti ne può possedere, quanti tipi ne può possedere, in che ambito territoriale). Poi l’assetto della Rai (pubblica o privata; con che tipo di azionariato; limiti, controlli e autonomia, quantità di reti; integrazione multi-piattaforma); la regolamentazione del mercato pubblicitario (tetti di raccolta, limitazione di posizioni dominanti, potere sanzionatorio alle autorità di vigilanza); la riforma della professione giornalistica (eliminazione/mantenimento dell’Albo; contratti di lavoro) e la contemporanea revisione delle restrizioni (reato di diffamazione; pubblicazione di atti giudiziari). Infine, l’evoluzione di internet, sotto il profilo infrastrutturale (digitale divide tecnologico, banda larga, etc.), sotto il profilo regolamentare (quella che Rodotà chiama la “costituzione” di Internet e che serve a garantire libertà di espressione, ma anche sicurezza e protezione dei dati e della privacy), sotto il profilo operativo (migliori condizioni per le imprese e l’innovazione; connessione dell’indice di digitalizzazione con la crescita e la diminuzione della disoccupazione).
Personalmente, penso che le questioni urgenti da affrontare siano innanzitutto tre, perché prima ancora di pensare all’assetto di un settore produttivo e alle ricadute economiche che esso può determinare, penso si debba pensare a garantire o a ripristinare dei diritti. E quindi la questione della proprietà dei media e della loro concentrazione; la questione della riforma della professione, con annessi e connessi i limiti della stessa; la questione della costituzione di internet e delle regole di cui necessita.
Perché, vedete, noi siamo qui a discutere sul web e a scambiarci opinioni. Ma dobbiamo essere certi di poterlo fare liberamente e quindi di sapere con certezza ciò che si può fare. Una piccola lista, che escludendo tutto ciò che non è incluso, garantisca la nostra piena libertà. Oggi, non sempre ce ne accorgiamo, non è così e, anzi, siamo ancora molto molto lontani .