Il presidente degli Stati Uniti in conferenza stampa ha tracciato un bilancio dei primi cento giorni del nuovo mandato. Ha parlato delle indagini sull’attentato di Boston e di come ridurre il deficit del bilancio. Ma, soprattutto, è tornato sulla questione del carcere nella base militare americana
“Continuo a pensare, come nel 2008, che Guantanamo vada chiusa”. Nel giorno della conferenza stampa per i primi 100 giorni del suo secondo mandato, Barack Obama torna sulla questione del carcere cubano e ne chiede ancora, con forza, la chiusura: “Si tratta di una prigione non necessaria per la sicurezza Usa, costosa, non sostenibile e dannosa per la nostra immagine internazionale”. Sono stati diversi i temi affrontati dal presidente, nell’incontro voluto per riassumere le principali questioni dei suoi primi tre mesi di governo, durante i quali la Casa Bianca ha subito almeno tre sconfitte cocenti: il peggior attacco terroristico dal 2001; il peggioramento della crisi in Siria; la sconfitta nella battaglia per una nuova legge sulle armi.
Obama ha parlato di Damasco, delle indagini sull’attentato di Boston e di come ridurre il deficit del bilancio Usa. La questione di Guantanamo è però stata centrale, probabilmente per il momento particolarmente critico che la prigione sta vivendo in queste settimane. Almeno 100 dei 166 detenuti che restano nella prigione del carcere nella base militare Usa sono in sciopero della fame da mesi. Le condizioni di almeno una decina di questi destano preoccupazione, tanto che i detenuti sono ora alimentati a forza. Della questione si sta occupando la Croce Rossa Internazionale, che ha già inviato un proprio team medico. L’Alto Commissariato ONU per i diritti umani ha parlato di “trattamenti inumani” dei detenuti e il caso rischia di diventare ancora una volta un fastidioso imbarazzo internazionale per gli Stati Uniti.
E’ questo il contesto in cui Obama ha dunque reiterato la sua richiesta di “chiudere la prigione”; un appello che non era risuonato più, negli ultimi mesi, dopo che il Congresso Usa aveva negato al presidente i fondi necessari per spostare i prigionieri. E invece il presidente, convinto probabilmente dalla visibilità internazionale che lo sciopero della fame sta ottenendo, è tornato sui suoi passi e ha addossato al Congresso l’intera responsabilità dello stallo. Il presidente Usa ha però fatto di più. Ha detto di non volere “che i prigionieri muoiano” – una risposta indiretta a quei repubblicani che in questi giorni hanno spiegato che lo sciopero della fame di presunti terroristi non può costituire una priorità politica. Ha spiegato di voler “riprendere il confronto con il Congresso per rilanciare la questione”. Ha riaffermato di continuare a pensare che “sono i tribunali civili, e non quelli militari, il modo migliore per processare i sospetti terroristi”.
Le dichiarazioni di Obama, con ogni probabilità, sono destinate a rinfocolare una polemica che difficilmente sarà risolta nei prossimi mesi. Democratici e repubblicani non hanno alcuna intenzione di votare lo stanziamento di fondi pubblici per il trasferimento dei presunti terroristi sul suolo americano (e qui processarli attraverso corti non militari). Molti dei congressmen Usa temono infatti che il loro elettorato non gradirebbe la soluzione. Per Obama condannare la situazione a Guantanamo può essere però un modo per tranquillizzare l’opinione pubblica internazionale e mettersi politicamente al riparo, nel caso nella prigione avvenisse qualcosa di grave e inatteso: una rivolta o, peggio ancora, la morte di uno dei detenuti in sciopero della fame.
Durante la conferenza stampa, convocata per segnare i primi cento giorni del secondo mandato, Obama ha comunque spaziato su alcuni dei temi più spinosi di queste settimane. Sul caso siriano, ha detto che “le armi chimiche sono state usate, ma non sappiamo ancora quando, da chi e dove”. Nel caso queste informazioni emergessero, ha aggiunto, “cambierebbe tutto, e dovremmo rivedere la gamma delle nostre risposte strategiche”. Obama ha riaffermato la sua fiducia nella possibilità di arrivare a un’intesa bipartisan sull’immigrazione e, commentando le indagini successive all’attentato alla maratona di Boston, ha detto di essere “orgoglioso di come l’FBI e le forze di polizia si sono comportate”. Rispondendo a un giornalista che gli chiedeva se avesse già perso tutta “l’energia” per far procedere la sua azione riformistica attraverso il Congresso, Obama ha scherzato e citato Mark Twain: “Le voci di un mio decesso sono un po’ esagerate”. L’ultima battuta è stata dedicata a Jason Collins, il cestista che ieri ha fatto coming out e dichiarato di essere gay: “Sono molto orgoglioso di lui, è stato un grande gesto”, ha detto Obama, che ha rilevato di aver telefonato allo sportivo lunedì, per congratularsi. “La comunità gay sappia che merita piena uguaglianza, non solo tolleranza. Fa parte a pieno diritto della famiglia americana”, ha concluso Obama.