Il leadere del Pdl punta su una nuova strategia e ha scelto un luminare del diritto per tentare di difendersi nei processi e non dai processi che si possa associare in Cassazione ai suoi difensori storici Niccolò Ghedini e Piero Longo. Con la probabile benedizione del Quirinale
I loro destini si sono soltanto un po’ sfiorati. Ora però potrebbero dover leggere insieme faldoni e faldoni di atti: quelli del processo Mediaset e magari quelli del processo Ruby. Ma solo “nell’ipotesi in cui ci sia l’esigenza di preparare ricorsi in Cassazione” dice al fattoquotidiano.it Franco Coppi, che difese e fece assolvere la segretaria di Silvio Berlusconi Marinella Brambilla dall’accusa di falsa testimonianza nel processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza. L’avvocato è stato “precettatato”, in qualche modo “prenotato”, dai legali storici del Cavaliere, Niccolò Ghedini e Piero Longo, per associarsi al collegio difensivo del leader del Pdl. Che, in concomitanza al governissimo Letta, probabilmente ha preso l’impegno di sfilarsi i guantoni con cui di solito prende a pugni i magistrati. Coppi non è stato solo colui che ha tirato fuori dai guai Giulio Andreotti, ma è un tecnico del diritto che può difendere imputati di pedofilia, come quelli di Rignano Flaminio, di omicidio, come Sabrina Misseri o Renato Busco per via Poma, o sequestro di persona, come Niccolò Pollari per il caso Abu Omar. Senza dimenticare le assoluzioni ottenute per l’ex ministro Luigi Gui nello scandalo Lockheed o per il generale Vito Miceli per il tentato golpe Borghese. Lo “scienziato del diritto” ha tutelato la vedova Calipari, ma anche l’ad della ThyssenKrupp. Ma sempre con la stessa efficacia e un dogma, il low profile. E Berlusconi per lui sarebbe un cliente come un altro. Allo stato non c’è stata nomina, ma il professore ha dato la sua disponibilità ad associarsi al collegio difensivo per i processi che approderanno in piazza Cavour: il primo dei quali sarò quelli sui diritti tv.
Confermata l’indiscrezione del quotidiano La Stampa la mossa del Cavaliere potrebbe avere una sola lettura; quella di tentare di dimostrare in finale di partita con i giudici e gli elettori italiani che può essere un imputato modello e aspirare a guidare la futura Convenzione per le riforme. Con un solo cambio di toga quindi Berlusconi otterrebbe un doppio risultato: possibili assoluzioni in terzo grado, quello più importante, che un luminare del diritto come Coppi può conquistare e anche quel salvacondotto che invece non gli sarebbe garantito da altre ipotesi circolate e posizionabili nella categoria dell’impossibile o quasi: un’amnistia, la nomina a senatore, la grazia.
Lo status giuridico di Silvio Berlusconi è, per ora, formalmente, da perfetto incensurato (le due condanne subite Mediaset e nastro Fassino-Consorte sono solo in primo grado) ma sull’ex presidente del Consiglio, complici le manovre dilatorie della sua quasi ex difesa, si abbatterà una tempesta perfetta di verdetti. E anche se dice di credere nella giustizia, millantando che “la Cassazione mi ha sempre assolto” (i supremi giudici hanno in alcuni casi come All Iberian e Lodo Mondadori dovuto dichiarare l’intervenuta prescrizione volendo tralasciare i processi che si sono fermati prima di arrivare al terzo grado come Mills, ndr), il leader del Pdl comincia a provare il timore di perdere lo scudo politico che lo ha difeso dal 1994 in poi. Teme il Cavaliere, per esempio, non la galera (decisamente improbabile anche in considerazione dell’età) ma la pena accessoria cui potrebbe essere condannato nel secondo grado del processo Mediaset (in primo grado all’ex premier sono stati inflitti 4 anni) ovvero l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Che in caso di sigillo da parte degli ermellini comporterebbe la sua ineleggibilità. Un avvocato come Coppi potrebbe trovare negli atti elementi a discapito dell’ipotesi accusatoria da proporre agli ermellini: Berlusconi non era più numero uno della società quando sarebbe stata commessa la frode e per questo ha già incassato due proscioglimenti a Milano e Roma nei processi gemelli.
Amnistia. E’ lo stesso Berlusconi a rendersi conto che è una strada impraticabile. “Di amnistia non ho mai sentito parlare – aveva detto a La Repubblica un paio di settimane fa – Io, ormai, a questi patti non credo più. Il mio giudice a Berlino è la Corte di Cassazione che mi ha sempre assolto. È un’ipotesi di cui non ho mai discusso con nessuno … l’amnistia è indigesta a tutti. La gente non sarebbe d’accordo. Sarebbe un modo per far arrabbiare ancora di più i cittadini”. Senza contare che lo storico e tratti bizzoso alleato, la Lega, non accetterebbe mai: “I leghisti sono fermamente contrari a qualsiasi tipo di amnistia, indulto et cetera…”. Il provvedimento, che cancella il reato e che quindi risulta come se non fosse stato commesso, nella storia repubblicana è stato deciso diverse volte ma i reati “cancellati” avevano pene al massimo fino a 5 anni. Quelli di cui è accusato Berlusconi – la concussione e la prostituzione minorile – vanno da sei a dodici anni. Senza mettere in conto l’effetto mediatico della concessione di un provvedimento a lungo invocato da più parti – causa per esempio le condizioni inumane dei detenuti nelle carceri – ma che è stato sempre scartato anche in ipotesi proprio dal centrodestra.
Senatore a vita. C’è chi pensava che Giorgio Napolitano, dopo essere intervenuto per permettere al Cavaliere – imputato nei processi Ruby, Mediaset e nastro Fassino-Consorte – di svolgere la sua attività politica, potesse nominare Berlusconi senatore a vita. Anche se, bisogna ricordarlo, Napolitano ha già nominato Mario Monti e ha dichiarato che non avrebbe esercitato più la sua prerogativa. Ma in caso di condanna definitiva (e i reati di cui è accusato Berlusconi prevedono come pena più di due anni, limite fissato dalla legge anti corruzione, ndr), considerando che il senatore a vita che esercita un diritto di voto in Parlamento è un pubblico ufficiale, sarebbe scattata comunque la decadenza dalla carica. Inoltre l’articolo 59 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” e benché prerogativa esclusiva del Quirinale una nomina a vita a Palazzo Madama sarebbe apparsa inopportuna per un leader così discusso anche a livello europeo.
Grazia. Anche la grazia è una prerogativa del capo dello Stato e viene concessa dal Presidente della Repubblica con atto controfirmato dal Ministro della Giustizia. Sarebbe l’ideale perché incide volendo su pena principale e pena accessoria. Ma il presupposto della grazia è il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Nel caso del Cavaliere i processi sono diversi e in fasi differenti. E nel caso i verdetti fossero tutti di condanna quante grazie gli dovrebbero essere concesse? E che impatto avrebbe sull’opinione pubblica? Dal 1948 i provvedimenti di clemenza individuale emessi superano le 42mila unità ma tranne alcuni casi spinosi – l’ultimo riguarda il caso Abu Omar – non hanno scatenato polemiche. E una serie di atti di clemenza sarebbero un precedente unico nella storia delle democrazie moderne.
Invece dal Quirinale non è arrivato nessun atto, nessun salvancondotto formale in cambio della formazione necessaria e urgente del governo, ma più probabilmente un’indicazione precisa e inevitabile: difendersi nei processi e non dai processi.