Politica

Crisi, Italia anno zero. Un paese da vivere, cambiare e amare

Era da tanto che non mi capitava. Attraversare l’Italia con il treno. Adagio adagio. Catanzaro, Napoli, Roma, Milano, Torino. Come dodici anni fa, quando il treno del sole in quattordici ore mi portò per la prima volta dalla mia terra all’Università. Quel treno vecchio, sgangherato, scomodo e lento. Quel treno carico di valigie, provviste, storie di emigrazione. Quel treno pieno zeppo di dialetti, quel treno che è un paese bellissimo e rintanato su stesso. Quel treno che è metafora e ponte fra la paura e la speranza.  

I treni oggi, sono più veloci (perlomeno da Salerno in su) ma il nostro paese non è cambiato. Continua la speculazione edilizia e la cementificazione selvaggia delle coste. Continua a crescere la tassazione sul lavoro. Continua la perpetrazione di un welfare particolaristico e difensore dei più forti. Continuano a essere intatte le prebende immeritate di caste arroccate come corporazioni medievali. Continuano a crescere, nel silenzio rabbioso, le disuguaglianze.

Spesso nei dibattiti pubblici sono stato accusato da politici e giornalisti di non conoscere il paese reale. Sono stato accusato di essere un marziano che dall’alto di una posizione privilegiata lancia invettive e giudizi. Nelle ultime due settimane ho attraversato il paese per discutere e ragionare con tutti di un’idea che ho da parecchio tempo in testa: la necessità di perseguire una serie di riforme che portino all’abbattimento della disuguaglianza, non per ragioni ideologiche ma per rendere il paese più efficiente.

Ho imparato in anni di studio che quando hai un’ipotesi in testa, non basta teorizzarla, elaborarla per iscritto sulla base di dati statistici, ma devi testarla fra la gente. Devi avere il coraggio di mettere in gioco la tua idea confrontandoti ovunque con mente aperta. Sono profondamente convinto, che se oggi i partiti implodono ed i sindacati faticano a perseguire l’interesse dei lavoratori, è proprio perché hanno smesso da tempo di confrontarsi con le persone con occhio scevro da pregiudizi ideologici. Perché hanno perso il coraggio di proporre un’idea forte traducendo un’elaborazione intellettuale in un progetto politico concreto. Ho discusso e continuerò a farlo. Discutere nelle sedi di partito, nelle università, nelle scuole, nei centri di ricerca, nei centri sociali, con i sindacati, con confindustria, nelle librerie, nelle biblioteche pubbliche, nelle strade.

Ascoltando le persone mi sono convinto che non ci sono misure provvidenziali e specifiche che salveranno questo paese. Non basta il reddito minimo garantito o la riduzione dei benefici di chi ha avuto troppo senza meritarlo. Serve di più. Serve un cambio di prospettiva. Un cambio di prospettiva che parte dalla rieducazione di tutti al dialogo. Un cambio di prospettiva che parta da chi, ha il coraggio di perseguire un’idea nuova per poi convincere tutti gli altri. Un cambio di prospettiva lento e graduale. Un cambio di prospettiva che spazzi via accordi sottobanco e riconnetta la politica e le persone.

C’e’ una domanda che mi è stata posta durante ogni incontro pubblico. Da dove si parte per cambiare il paese? Io penso che occorra ridare il primato alla politica. La politica fatta in ogni luogo del vivere quotidiano, la politica che è discussione sul bene comune. Là fuori ci sono 25 milioni di elettori (su 47 totali) che hanno tutto l’interesse a ridurre i privilegi delle caste che stanno affossando questo paese. Pensionati a cinquecento euro al mese, disoccupati, lavoratori atipici, persone con salari sotto i 1200 euro. Una classe che non si è ancora resa conto di essere maggioranza nel paese. Sono convinto che occorra ripartire dal dialogo con queste persone. Le persone comuni e straordinarie che incontriamo nel vivere quotidiano.

C’è Nicola che mi ha insegnato che la fisica è tutta basata sull’uguaglianza con l’eccezione dei principi che descrivono il disordine e l’indeterminatezza. C’è Francesco che mi ha mostrato un nuovo modo di guardare alla cultura come bene comune. C’è Carlo che non si è reso conto che difendere la struttura di un partito senza idee, significa sostenere i carnefici delle persone che lui vorrebbe difendere. C’è Bianca che pensa di battere con l’entusiasmo tutti gli ostacoli che ci si frappongono davanti.

E poi sullo sfondo c’è un paese confuso e frammentato. Un paese che deve tornare alla riflessione collettiva. Un paese fatto di vite e racconti, ingiustizie e azioni corali; un paese difficile da guardare con nitidezza e oggettività, ma un paese da vivere, cambiare e amare.