L’austerity ci sta letteralmente uccidendo. È la conclusione di uno studio di due ricercatori, uno britannico e uno americano, che questa settimana pubblicheranno un libro sugli effetti della crisi economica e delle politiche di contenimento della spesa pubblica sulla salute collettiva di europei e statunitensi. Secondo un economista dell’Università di Oxford, David Stuckler, e un medico epidemiologo dell’Università di Stanford, Sanjay Basu, alla stretta dei conti sarebbero imputabili, dal 2009 a oggi, oltre 10mila suicidi e un milione di casi di depressione. Ma non è tutto. A causa dello stop alle politiche preventive in Grecia, nel Paese ellenico, dal 2011 a oggi, le infezioni da HIV sono aumentate del 200% e per la prima volta dopo decenni è ricomparsa la malaria. Così, allo stesso modo, in Europa e Stati Uniti, l’aumento della disoccupazione unito al taglio alle campagne sociali ha visto l’abuso di droghe da parte dei giovani aumentare del 50%. Niente di strano, dice ora il team della ricerca, soprattutto considerando che, a causa della crisi, cinque milioni di americani hanno perso in questi ultimi anni l’assistenza sanitaria e oltre 10mila famiglie, nel Regno Unito, sono diventate ufficialmente senza fissa dimora.
Lo studio di Stuckler e Basu sta già tuttavia sollevando le prime critiche relative a un eccessivo “allarmismo”. L’agenzia di notizie Reuters ha dedicato un lungo speciale alla ricerca, che è arrivata anche sul tavolino del governo del Regno Unito guidato dal conservatore David Cameron. Fonti governative hanno cercato di minimizzarne la portata, ma da parte di Stuckler e Basu sono arrivate le conferme dei loro risultati. “Anche perché – ha detto Basu – quello che emerge è che un peggioramento della salute collettiva non è un’immediata conseguenza della crisi economica, ma spesso è il frutto di una precisa scelta politica da parte di chi ci governa”. Come a dire, a volte la crisi può anche far bene alla salute, ma se la crisi viene affrontata con l’austerity, le cose peggiorano. I due ricercatori, infatti, hanno citato un altro studio, pubblicato non molto tempo fa dall’Università di Madrid. A Cuba, dopo la fine dell’influenza sovietica e del relativo contributo economico che arrivava dalla Russia, la popolazione dimagrì e fu anche a rischio di denutrizione. Ebbene, ricordano Stuckler e Basu, l’Università di Madrid ha fatto notare come una diminuzione del peso, in media, di 5 chili a persona abbia portato a un abbattimento del diabete, delle malattie cardiache e coronariche. “A volte, quindi, essere poveri fa bene alla salute”, la conclusione dei due.
Eppure, nel caso attuale, la politica ci ha messo lo zampino. “Basti pensare a che cosa è avvenuto in Svezia. Le politiche sociali e di welfare di quel Paese, in seguito all’ultima recessione, hanno fatto diminuire drasticamente l’alto numero di suicidi. Cosa che invece non è avvenuta nei Paesi vicini che non hanno attuato le stesse politiche. Così, allo stesso modo, in Grecia si è visto che tagliare le spese di prevenzione non ha fatto altro che far aumentare in modo esponenziale l’incidenza dell’HIV, mentre la mancanza di denaro per serie disinfestazioni da insetti ha persino fatto tornare la malaria”. I soldi, insomma, quando sono pochi andrebbero investiti meglio, è il suggerimento dei due ricercatori, perché anche e soprattutto in periodi di crisi bisogna salvaguardare la salute collettiva. Infine, lo studio ha messo in luce anche come la depressione “generalizzata” abbia portato a un aumento di uso e abuso di alcool e sostanze stupefacenti. “Tutte condizioni che fanno abbassare la guardia e anche per questo, non solo in Grecia, si sta notando un aumento delle infezioni da HIV”.