Josè María Gay de Liébana, professore di Economia all’Università di Barcellona: "Investimenti folli finanziati con debiti non sostenibili, uscite più alte delle entrate, diminuzione dei ricavi commerciali e da gara: quale azienda potrebbe mai sopravvivere così"?
Ad inizio stagione aveva pronosticato la ‘morte’ del calcio spagnolo entro 5 anni. Ci è voluto molto meno perché la profezia di Josè María Gay de Liébana (professore della facoltà di Economia dell’Università di Barcellona) assomigliasse alla realtà. Per la prima volta dal 2008, infatti, nessuna coppa europea finirà in Spagna: nelle ultime quattro edizioni Barcellona e Atletico Madrid avevano vinto ad anni alterni la Champions League (2011 e 2009) e l’Europa League (2012 e 2010); successi a cui si potevano sommare i piazzamenti di Real Madrid, Athletic Bilbao, Villareal. Il ciclo, adesso, è spezzato. E la figuraccia del Barcellona contro il Bayern Monaco sancisce il passaggio di consegne con la Germania, campione nei bilanci e sul campo. A ilfattoquotidiano.it, il professor Gay de Liébana, tra i massimi esperti di economia applicata allo sport, spiega il perché di questa crisi, intrecciata a scenari presenti e futuri del calcio europeo.
‘Morte’ del calcio spagnolo entro 5 anni: sembrava un azzardo, ma i risultati sembrano darle ragione…
La mia affermazione era una provocazione, riferita alla situazione economica della Liga. Ma è evidente che si tratta di un discorso complessivo. Il sistema attuale del calcio spagnolo semplicemente non ha senso: ci sono due club che spadroneggiano mentre gli altri sono indietro da tutti i punti di vista; questo bipolarismo nuoce al campionato, e la passione dei tifosi sta diminuisce giorno dopo giorno. Molte società sono finanziariamente instabili e potrebbero scomparire nel nulla. Metaforicamente e letteralmente parlando, sono tempi davvero difficili per il calcio spagnolo.
Dove nasce questa crisi?
Il calcio, ed in particolar modo il calcio spagnolo, ha vissuto per troppi anni sopra le proprie possibilità, noncurante di quanto accadeva intorno. Credevano di essere immuni dalla crisi. Ma si sbagliavano. Investimenti folli finanziati con debiti non sostenibili, uscite costantemente più alte delle entrate, diminuzione dei ricavi commerciali e da gara: quale azienda potrebbe mai sopravvivere in questa maniera?
In questo il calcio italiano sembra ricalcare gli stessi errori di quello spagnolo. Anche la nostra Serie A rischia di ‘morire’ nei prossimi 5 anni?
Questo è difficile dirlo. Di certo, però, il calcio italiano ha la necessità di reinventarsi. I grandi club della Serie A hanno ancora il prestigio della tradizione, ma non sono più competitivi in Europa. Il problema non è tanto il divario tra grandi e piccole, come in Spagna, quanto una generalizzata cattiva gestione societaria. In Italia, ormai, i proventi dei diritti tv rappresentano una percentuale troppo alta delle entrate di una squadre. Gli stadi italiani sono tra i più vuoti d’Europa e il merchandising non incide a sufficienza. Sono questi i punti su cui si dovrebbe insistere, solo così Milan, Inter e Juventus potranno tornare al vertice. E questo è vitale per tutto il movimento: in Spagna Barcellona e Real Madrid rappresentano comunque una forza trainante nel Ranking Uefa. L’Italia ha perso anche i suoi riferimenti fondamentali.
Chi invece se la passa bene è la Germania. Quali sono i segreti di questo successo?
Investimenti intelligenti, non più solo nei calciatori ma in strutture e settore giovanile, che rappresentano i veri patrimoni di una società. E poi l’applicazione di un principio semplice ma fondamentale: spese inferiori alle entrate. Un traguardo reso possibile grazie al taglio dei costi del lavoro, e soprattutto all’incremento dei ricavi. In Germania gli stadi sono moderni, a misura di tifoso e per questo sempre strapieni. E il merchandising è all’avanguardia. Il sistema tedesco è l’unico sostenibile, e la squadra che meglio rappresenta le sue qualità è il Bayern Monaco.
Cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Il fair-play finanziario voluto dalla Uefa potrà cambiare la situazione?
Il fair play finanziario è un buon principio e un buon punto di partenza. E’ chiaro che ci sono dei dubbi sulla sua effettiva applicazione, ma la Uefa dice di voler andare fino in fondo e bisogna crederle. Tuttavia, da solo non può bastare. Se non si modifica la gestione societaria, adeguarsi al Ffp significa semplicemente accettare un ridimensionamento, anche qualitativo. E l’Italia è l’esempio migliore – anzi, peggiore – da questo punto di vista. Il modello da seguire è quello tedesco: il calcio europeo o cambia oppure rischia di morire.