Chiunque, improvvisamente o progressivamente esca dal mondo dell’autonomia si trova, come Alice nel paese delle meraviglie, risucchiato in un altro mondo, dove atti fino a quel momento banali, mangiare, vestirsi, andare al bagno, spostarsi anche di poco, dipendono da qualcun altro. Improvvisamente ogni cosa che fino a quel momento non ci si accorgeva neanche di fare, ci chiede un conto salato e umiliante. Con rabbia e vergogna ci troviamo nelle mani di un altro trasformandoci da soggetto a cosa. Sarà il modo di fare di chi accudisce a decretare l’inferno o il paradiso.
Chi fa dunque qualunque professione di aiuto deve stare attento agli scogli sommersi: non sono le teorie, i protocolli o i compiti gerarchicamente assegnati, a decretare la qualità dell’azione, ma la disposizione d’animo, gli atteggiamenti, la naturale empatia, anche se l’organizzazione del contesto può migliorare o inibire queste qualità.
La semantica delle parole ci può aiutare a capire dove stiamo nel continuum che va dal polo dell’accudimento affettuoso al polo dell’accudimento violento, dalla grazia alla malagrazia. Imboccare, nutrire, alimentare è un atto amoroso della madre o del parente o dell’infermiera/e per chi non riesce a nutrirsi da solo, ma non è raro che le mosse del donatore perdano la sintonia con i tempi del ricevente, che sia un bambino, un anziano, o un giovane cerebroleso, la fretta del proponente può trasformare la stessa funzione in un atto maligno, rimpinzare, intasare, inzeppare, ingozzare, come ho visto più volte fare in ospedale.
Alcune persone, che stanno male sul piano psicologico, temono di affrontare il mondo e le novità. Lasciate a loro stesse potrebbero passare intere giornate sul letto a guardare il soffitto e a fumare sigarette. Questo rende necessario, all’interno di un relazione umanamente significativa, atteggiamenti come incoraggiare, spronare, incitare, stimolare, atti amorevoli,che possono trasformarsi nel loro contrario, soggiogare, pressare, incalzare, invadere, incombere che provoca nel ricevente un senso di sostituzione, esautorazione, e in definitiva di persecutorietà.
Un paziente lasciò questo bigliettino al proprio terapeuta, prima di tentare il suicidio, per fortuna senza successo: “So che lei mi vuole bene, ha voluto che mi alzassi la mattina e l’ho fatto, che curassi la casa e la mia persona e l’ho fatto, che andassi a fare la spesa con i miei compagni e l’ho fatto! Ora magari pretenderà che smetta di fumare e questo non lo potrei sopportare! Mi scusi.”
Di fronte a questi pericoli si potrebbe invocare il rispetto dei limiti come una pratica poco trasformativa ma almeno non pericolosa. Invece anche qui il modo in cui si esercita il rispetto può facilmente trasformarsi in modalità relazionali non meno pericolose dell’iperprotezione, come lontananza, distacco, indifferenza, disinteresse, rassegnazione all’invarianza della situazione. Così l’atto affettuoso e benefico dell’accarezzare, coccolare, abbracciare, ha confini labili con soffocare e asfissiare, come sanno molti adolescenti.
Un necessario elemento di diversificazione e autonomia come discordare, divergere, differenziarsi, dissentire, può con facilità debordare verso oltraggiare, insultare, odiare. L’amare, stimare, considerare, diventa sospetto nell’adorare, venerare, divinizzare, mitizzare, idolatrare. Il condividere, spartire, insegnare, si può trasformare nel coercire, indottrinare. Gli indicatori semantici sono come i paletti segnaletici che ci possono indicare dove siamo, ma non sostituiscono le mappe.