È proprio nel Rakhine che, nel corso del 2012, si è registrata la più grave ondata di scontri, con 200 morti e 140 mila sfollati. E ancora nel marzo scorso, le persecuzioni religiose hanno fatto 43 vittime a Meiktila, nel centro del paese. Al solito, un banale pretesto ha funzionato da scintilla: una disputa tra un commerciante musulmano e alcuni clienti buddhisti. Solo dopo che interi quartieri erano stati dati alle fiamme, l’esercito è intervenuto in applicazione dello stato d’emergenza proclamato dal governo centrale, proprio mentre le violenze si estendevano in direzione della nuova capitale Naypyidaw: una chiara dimostrazione che il piano del presidente civile Thein Sein per arginare gli estremismi è ancora lontano dal raccogliere i suoi frutti. Proprio nei giorni in cui la Ue ha premiato le aperture democratiche della Birmania con l’abolizione definitiva delle sanzioni, un rapporto di Human Rights Watch accusa le forze di sicurezza locali appoggiate dai monaci buddhisti di “crimini contro l’umanità” in una campagna di “pulizia etnica” contro i musulmani.
Mondo - 3 Maggio 2013
Dagli al musulmano: quando il monaco buddhista s’incazza
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