Email hackerate al M5S, gli esperti: “Non è un attacco in ‘stile’ Anonymous”

La nuova offensiva degli 'Hacker del Pd' segna un cambio di strategia, con la pubblicazione di nuovi messaggi di posta elettronica sul sito ufficiale Par:AnoIA di Anonymous. Ma sul fatto che dietro l'operazione ci sia proprio il celebre movimento hacker i dubbi sono diversi: "Non rientra nella loro etica ricattare i capi di un partito colpendo chi non ha compiuto alcuna azione criminale"

I sedicenti ‘Hacker del Pd’ colpiscono ancora. E compaiono nuovi archivi con email dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Una conferma che l’Anonymous Movimento 5 Stelle Leak non era una semplice boutade. Dopo aver pubblicato le email della deputata del M5S Giulia Sarti il 24 aprile, il gruppo di pirati informatici aveva annunciato l’intenzione di procedere alla pubblicazione di altri archivi contenenti email private di deputati e senatori in quota al M5S. Questo fino a quando non fossero stati resi noti redditi e patrimoni di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Minaccia ripresa anche su un sito Web dedicato, nel quale compare in bella vista un conto alla rovescia che indica il tempo mancante alla pubblicazione del prossimo archivio. La prima scadenza era il 30 aprile, ma era stata ‘bucata’: così in molti avevano pensato che l’operazione nel suo complesso fosse un bluff.

Ieri sera, però, sul sito ufficiale Par:AnoIA di Anonymous sono comparsi nuovi archivi contenenti i messaggi di posta elettronica dei deputati Massimiliano Bernini, Tancredi Turco e Stefano Vignaroli, oltre a quella di Filippo Baloo, un’attivista del movimento che, a differenza delle altre vittime, non ha incarichi parlamentari. Gli archivi, oltre 4 Gb in tutto, contengono le email degli account personali (Yahoo, Tiscali, Hotmail) dei militanti Cinque stelle.

Il cambio di strategia e la scelta di pubblicare le email del M5S attraverso il sito internazionale di Anonymous, però, non è affatto una conferma dell’appartenenza del gruppo al celebre movimento hacker. Anzi: guardando alla bagarre che si è scatenata nei giorni scorsi a seguito della prima pubblicazione, sembra piuttosto un tentativo di allontanarsi dall’ambito locale per approdare a lidi più sicuri. Al precedente leak erano infatti seguite una serie di smentite, prese di distanza e accuse incrociate tra crew hacker. Al punto che i ‘veri’ Anonymous italiani, dopo aver disconosciuto la paternità dell’azione definendosi a-politici e contrari ad azioni contro singoli partiti, hanno addirittura annunciato la loro intenzione di rintracciare e denunciare alla Polizia Postale i cosiddetti Hacker del Pd. Una vicenda in cui è piuttosto difficile raccapezzarsi, complicata ulteriormente dal fatto che tanti (troppi) gruppi usano il “marchio” Anonymous per identificarsi.

Alcuni di questi, tra l’altro, si erano resi protagonisti in passato di attacchi al blog di Grillo. Qualcosa di molto diverso, però, dal furto di account privati, come conferma Antonella Beccaria, collaboratrice de ilfattoquotidiano.it e autrice di Anonymous. Noi siamo legione: “L’etica hacker – sostiene – non ha nulla a che fare con questo genere di operazioni. Di certo non rientra in questo concetto entrare nelle caselle di posta elettronica altrui e rubare comunicazioni riservate e dati in allegato. Non ci rientra quando queste incursioni vengono compiute per “ricattare” i capi di un partito (o movimento) attraverso i suoi parlamentari, che non hanno compiuto alcuna azione criminale”.

La logica dietro le azioni degli hacktivist, infatti, è un’altra. “Quando Anonymous ha divulgato informazioni personali di singole persone, sono due le considerazioni da tenere presente – prosegue Beccaria -. In primo luogo si trattava di individui identificati come pedopornografi, razzisti o politici ritenuti infedeli. In secondo luogo, la maggior parte di queste incursioni Anonymous l’ha fatto in un periodo in cui era ancora nella fase dello ‘scherzo’ estremo e quanto più cattivo possibile. Poi, con l’operazione contro Scientology e le sue pratiche, ha progressivamente abbandonato queste linee d’azione per passare alla cosiddetta fase ‘vigilantista’, come accaduto per le operazioni sudamericane contro devastazioni ambientali o contro intenti analoghi in altri luoghi, come in Canada”. Una linea che non è cambiata anche negli episodi più recenti. “Quando Anonymous ha rubato in una fase più recente mail private per diffonderle attraverso Wikileaks, lo ha fatto contro una società di intelligence privata, la Stratfor, che per conto di multinazionali per esempio teneva d’occhio movimenti ambientalisti o di ‘information guerrilla’ cercando di boicottarne gli obiettivi, se non proprio di ridurli all’inattività”.

La linea portata avanti dagli Hacker del Pd non convince nemmeno il Collettivo Ippolita, autore di libri come Luci e ombre di Google e Nell’acquario di Facebook. “Uno dei miti della democrazia 2.0 è che condividere, attraverso la pubblicazione, sia un bene assoluto. Una sorta di dottrina della ‘Trasparenza Radicale’ secondo la quale chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere. Ma rendere qualsiasi cosa pubblica non ci rende automaticamente liberi. L’etica hacker ha a che fare piuttosto con la condivisione di conoscenze in contesti di autoformazione”.

Al di là delle valutazioni sull’operato del gruppo che se n’è reso protagonista, la vicenda della violazione delle caselle email dei parlamentari Cinque stelle porta però alla ribalta la questione della sicurezza nelle comunicazioni tra soggetti che hanno incarichi istituzionali. Tra le email trafugate (che per scelta non pubblichiamo) ci sono anche comunicazioni interne al gruppo parlamentare del M5S e persino documenti provenienti da sedi istituzionali. Il tutto affidato a caselle di posta gratuite come Hotmail e Yahoo, che non rispondono a quei requisiti di sicurezza e affidabilità che sarebbe auspicabile garantire nella gestione di informazioni così delicate.