Un'epidemia virale ha provocato un aumento dei decessi sulle coste toscane: "L'inquinamento non c'entra" secondo Arpat e Wwf. Ma il veterinario Mazariol (università di Padova) non esclude che l'organismo dei cetacei possa essere "aggredito" da sostanze tossiche prodotte dall'industria
Non si ferma la moria di delfini lungo le coste toscane. L’ultimo episodio si è registrato di fronte al mare di Antignano, a sud di Livorno, dove il 15 aprile un pescatore ha recuperato una stenella di un metro e ottanta in avanzato stato di decomposizione. Con quest’ultimo ritrovamento sale a 29 il numero di cetacei spiaggiati lungo le coste toscane dall’inizio dell’anno, tra le più colpite dal fenomeno insieme a quelle laziali. Qui si è verificato un caso su 4 rispetto al resto dell’Italia: a livello nazionale i cetacei spiaggiati da gennaio ad oggi sono già circa 120 mentre nel 2012 i dati parlavano di un totale pari a 35 esemplari. Il sensibile aumento pare essere dovuto, secondo gli esperti, a un’epidemia virale.
“Sulla base dei dati autoptici è stata evidenziata un’epidemia di morbillivirus, patologia virale che colpisce i cetacei” afferma Marco Costantini, responsabile nazionale della sezione mare del Wwf che tende ad escludere possibili cause dirette antropiche legate alla moria: “Dai dati attuali non si evidenzia una correlazione tra la morte di questi delfini e i fenomeni di sversamento in mare di sostanze nocive o episodi legati ai bidoni tossici persi un anno fa da un cargo della Grimaldi a largo dell’isola di Gorgona, di fronte a Livorno. Se effettivamente fossimo in condizioni di acqua estremamente inquinata ci sarebbero morie anche di altre specie”.
E sulla qualità delle acque toscane anche l’Arpat rassicura: “Effettuiamo analisi entro i 2-3mila metri dalla costa della Toscana con cadenza quindicinale o mensile, dipende dalla stagione, e i risultati evidenziano un dato qualitativo buono se non ottimo lungo la costa” spiega Fabrizio Serena della sezione mare di Arpat. Non è la prima volta che il morbillivirus colpisce così duramente le stenelle. “Episodi analoghi si erano verificati all’inizio degli anni Novanta” spiega Sandro Mazariol, professore del dipartimento di sanità pubblica, patologia comparata ed igiene veterinaria dell’università di Padova che come interesse principale ha proprio la patologia dei mammiferi marini. “A causa dello stato di decomposizione cui sono soggetti i delfini spiaggiati, è stato possibile sottoporne a necroscopia solo la metà degli esemplari. Di questi l’80 per cento aveva un’età inferiore ai 20 anni, cosa che spiegherebbe perché questi animali non sono immuni alla malattia”.
Pur concordando con la tesi ormai sempre più diffusa che non contempla una causa diretta antropica per la morte delle stenelle, Mazariol non esclude che l’organismo dei cetacei possa essere stato aggredito e indebolito anche dalla presenza in mare di sostanze tossiche come i Pcb, policlorobifenili, elementi inquinanti – prodotti durante i processi industriali – che hanno una formula simile alla diossina e che potrebbero essersi bioaccumulati nella catena alimentare marina sino ad arrivare alle stenelle, rendendole più deboli e immunodepresse e, di conseguenza, facilmente attaccabili dal morbillivirus.