Trasformare radicalmente il territorio ha riflessi di non poco conto su chi vi abita.

Un tempo il territorio veniva sì modificato adeguandolo alle esigenze di chi vi abitava, ma il cambiamento avveniva lentamente e si prendeva coscienza di esso, passo dopo passo.

Oggi il territorio viene spesso, anzi quasi sempre modificato con tempi veloci e per esigenze o presunte tali di altri che lì non vi abitano, ed i residenti subiscono solo le conseguenze negative della trasformazione, sia durante la realizzazione dell’opera, sia durante la sua vita.

E per conseguenze negative si deve sì pensare alle conseguenze sull’ambiente e sulla salute in senso stretto (pensiamo ad opere che durano anni con escavazioni ed asportazioni di smarino, oppure ad un inceneritore), ma anche agli effetti sulla salute mentale. Quanto incide sulla psiche vedere un territorio completamente diverso e modificato in peggio rispetto a quello che si era abituati a vedere fin da piccoli?

Del resto, se costituisce un trauma per i sopravvissuti lo tsunami in Giappone o il terremoto de L’Aquila, non può costituire un trauma una trasformazione meno violenta ma spesso altrettanto profonda e duratura?

C’è un film in rete che vi consiglio di guardare: si intitola “Fratelli di TAV” e vi mostra, tra l’altro, la disperazione, che raggiunge il pianto, di persone che vivono in un territorio che non è più quello dove vivevano fino a pochi anni prima. C’è chi si trova davanti a casa un muro alto dieci metri, e chi si ritrova senza la sorgente da cui sempre attingeva…

La psicanalisi afferma che le maggiori turbe per l’uomo sono le morti, le separazioni, i traslochi. Tutto ciò che significa una perdita. Mi pare che si trascuri colpevolmente la modifica del territorio. Anche questa è una perdita e sicuramente, per lo meno su tante persone magari non su tutte, avrà effetti negativi.

A onor del vero però uno psicanalista, almeno uno, che ha approfondito il rapporto fra bellezza e psiche c’è, ed è James Hillman. Sicuramente anche grazie alla sua matrice junghiana si è spinto in questo terreno ancora inesplorato facendo sbocciare germogli di saggezza. Una frase che riassume bene il suo pensiero in materia: ”Se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade”.

Ribellione c’è, talvolta, ma ancora poca: dovrebbe essercene di più prendendo coscienza che quella alterazione del territorio costituirà anche un’irrimediabile alterazione della nostra psiche; che a ferita si aggiunge ferita. Salvare il territorio per salvare noi stessi potrebbe essere l’assunto.

Ero molto piccolo. I miei avevano acquistato un appartamento in una piccola palazzina alla periferia di Savona. Davanti a noi solo coltivazioni di chinotti. Poi vennero altri condomini. Oggi il chinotto di Savona è un presidio Slow Food. Ogni volta che vedo quelle bottiglie con i chinotti sotto spirito targate “Besio”, la mente mi ricorre malinconicamente a quei campi che non ci sono più.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Livorno, 29 delfini morti in 4 mesi. “Colpa del morbillo, ma sono indeboliti dai Pcb”

next
Articolo Successivo

Alessandro, il ragazzo che a Taranto gridava ‘noi vogliamo aria pulita’

next