Una busta con proiettili e una lettera di minacce. E’ ciò che ad un certo punto della loro vita si sono visti recapitare decine di magistrati, politici e giornalisti, come, nel marzo 2011, Travaglio, Gomez, Santoro e Barbacetto, e, a dicembre 2011, Paola Severino ed Elsa Fornero con altri ministri e alcuni direttori di giornali.
A seguito di tali eventi, nessuno ha chiesto, per scongiurare il rischio che un criminale ne abusasse, di regolamentare il servizio postale perquisendo il contenuto di tutte le buste, imponendo su queste l’indicazione del documento di riconoscimento del mittente o ritenendo il servizio postale corresponsabile del trasporto del plico incriminato. E’ stato invece chiesto di trovare e perseguire i singoli responsabili che – al pari di quanto avviene per gli attacchi in Internet – non sempre sono stati individuati.
Si potrà dire che la diffusione in Internet è paragonabile a quella sulla stampa. Tuttavia occorre chiedersi se lo scopo di chi invoca nuove norme restrittive per la Rete come un filtraggio preventivo dei contenuti, l’identificazione preventiva degli autori o la responsabilizzazione penale dei provider sia punire gli autori dei reati o bloccare preventivamente i messaggi, visto che la legge prevede già, per autori e siti italiani, i reati corrispondenti a quelli per la stampa (che tuttavia ha talora colpito impunemente persone, v. caso Boffo).
E’ risaputo che la Rete è spesso scomoda per i detentori del potere e i pretesti usati per attaccarne la libertà appaiono sempre condivisibili, ma, a giugno 2011, un rapporto Onu (organizzazione della quale l’attuale onorevole Laura Boldrini era una funzionaria) metteva in guardia dalla censura dei contenuti online sotto l’apparenza di obiettivi legittimi.
Il rapporto affermava che vi sono solo quattro casi “eccezionali” che abilitano gli Stati a criminalizzare i contenuti Internet in base al diritto internazionale: pedopornografia, incitamento a commettere genocidio, incitamento alla discriminazione, all’odio o alla violenza e incitamento al terrorismo e raccomandava agli Stati di astenersi dal criminalizzare tutte le altre forme di espressione, mentre il 5 luglio 2012 una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani stabiliva che tutte le persone dovrebbero essere autorizzate a connettersi ed esprimersi liberamente su Internet.
Peraltro, una legge italiana per il controllo della Rete non sarebbe la soluzione del problema degli attacchi personali, perché la maggior parte dei server è soggetta alle leggi di altre nazioni e perché esistono modi per muoversi fra decine di server nel mondo facendo perdere le tracce. Dunque una simile legge otterrebbe l’unico risultato di offrire uno strumento per mettere il bavaglio a chi da fastidio ai manovratori, che è l’opposto di quanto ci si aspetterebbe da una persona con la storia dell’on. Boldrini.
Ovviamente mi rendo conto, come attivista per i diritti e come donna, della violazione che Laura Boldrini ha subìto e della sensazione lacerante che deve provare, sono solidale con lei e condanno i suoi aggressori. Tuttavia ritengo che bersaglio e giustificazioni della sua reazione siano sbagliati, anche perché le aggressioni squadriste che ha subìto non sono qualcosa di legato alle nuove tecnologie, ma, nella forma e nella sostanza, un rigurgito di fascismo.
Quanto al sessismo degli attacchi, i primi responsabili sono i politici e la TV, che da decenni ci hanno abituato a battute becere e ad una rappresentazione della donna come mero oggetto. Il problema non nasce con la rete ma è culturale e va risolto con l’educazione ma soprattutto denunciando e condannando i comportamenti scorretti e diseducativi dei poteri forti di cui sopra.
La presidente della Camera, dall’alto del suo ruolo istituzionale, potrebbe ben fare questo tipo di azione, che tuttavia necessita di molto maggior coraggio rispetto alla richiesta di una legge che in tanti in Parlamento e nei giornali vogliono già perché consentirebbe di limitare l’informazione alternativa e l’espressione – anche politica – di decine di milioni di persone.