Caro signor Invalsi, anche quest’anno senza che l’abbiano deciso i genitori e gli insegnanti, i miei ragazzi da martedì saranno costretti a fare un test che voi chiamate prove, per misurare il sistema educativo e i bisogni d’apprendimento. Io che insegno loro la libertà, sarò obbligato a far loro subire a testa bassa l’ennesimo test.
Anzi, nella lettera al mio dirigente nella quale date tutte le indicazioni necessarie per lo svolgimento del test, usate il verbo “somministrare” l’Invalsi.
Che brutto verbo per parlare di questionari da svolgere: ogni volta mi ricorda il medico che somministra i medicinali. Ma forse, signor Invalsi, sono io che non ho le idee chiare perché qui c’è qualcuno che aveva ben presente l’etimologia del termine: ministrare, dare o porgere altrui le cose necessarie. Necessarie a chi?
Io non so se lei signor Invalsi si è fatto un giro nei mesi scorsi nelle scuole: maestre e maestri, in preda al delirio da Invalsi, terrorizzati dal test al punto da far allenare, esercitare i ragazzini ore ed ore alla faccia dell’attività didattica e dei programmi. Conosco colleghi che hanno fatto fare 12-13 prove, prima del 7 maggio. In questo Paese ci sono 230 pubblicazioni funzionali all’addestramento e non un solo volume di riflessione politica o pedagogica sul test.
E poi parliamoci chiaro: se veramente, come dice il vostro statuto, avete tra le finalità quella di “promuovere il miglioramento dei livelli di istruzione e della qualità del capitale umano, attraverso le attività di valutazione nazionali e internazionali”, posso dire con tranquillità che non è cambiato nulla.
Se volete veramente capire qual è il livello dei nostri istituti, le competenze dei nostri ragazzi fatevi un giro nelle nostre scuole, andate a vedere i laboratori d’informatica dove vi sono personal computer che faticano persino ad aprire Google Maps; venite a vedere i sacrifici di quella collega che da mesi vorrebbe avere una risorsa umana in più, per poter insegnare ai suoi 20 alunni e anche a quel ragazzino che fugge dall’aula. Venite a conoscere quegli insegnanti di sostegno, senza specializzazione, che devono seguire ragazzi diversamente abili imboccandoli, portandoli in bagno, cambiando loro le mutande. Perché non fate a me il questionario su quanti soldi ho messo, insieme ad altri donatori, per acconsentire ai miei ragazzi di poter effettuare un viaggio d’istruzione a Roma?
Perché, caro signor Invalsi, il prossimo 30 agosto non viene all’ufficio scolastico provinciale a conoscere chi come me ogni anno si mette in fila come al supermercato, senza sapere che classe avrà, in che scuola andrà, che cosa insegnerà, quanto tempo vi rimarrà: questi sono quegli uomini e quelle donne, magari arrivati dal Sud per trovare un’occupazione, che fanno il sistema d’istruzione.
Certo, caro signor Invalsi, io voglio essere valutato. Voglio che siano valutati gli insegnanti. Non ho paura. Ma vorrei che lei valutasse il mio lavoro non solo per come sanno leggere i miei bambini (prova fatta con cronometro alla mano, secondo le vostre indicazioni) ma sapendo che i miei ragazzi sanno la Costituzione, a cui spero anche lei faccia riferimento; sanno chi sono Paolo Borsellino e Aldo Moro; sanno cos’è il Parlamento Europeo e anche cosa sono la Camera e il Senato; sanno il significato della parola democrazia, non solo perché la sanno leggere ma perché la sanno applicare.
Caro signor Invalsi, lei con la complicità del governo Monti e di Cgil-Cisl e Uil, con un colpo di penna (l’art. 51, comma 2 della Legge 4/4/2012, n. 35) ha reso obbligatorio per tutti noi insegnanti “somministrare” questo test.
Io, iscritto alla Flc Cgil, martedì giorno della prima prova, ricorderò quanto scriveva don Lorenzo Milani nel suo “L’obbedienza non è più una virtù” (“Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”): sciopererò contro di lei, signor Invalsi, contro i costi di questa prova, contro il verbo “somministrare”, contro la sua scelta di impedire ai ragazzi con disturbi dell’apprendimento di avere l’insegnante di sostegno in classe durante le sue prove.
Venerdì, mi costringerà a essere suo schiavo: con le mani legate ma a testa alta, somministrerò se sarò costretto, il suo test ma non mi potrà mettere il bavaglio alla bocca per impedirmi di dire anche quest’anno che l’Invalsi serve solo a pulire la coscienza di chi non vive ogni giorno la scuola italiana e pensa di conoscerla con dei test.