“E’ una situazione paradossale. Credo che ci sia in atto una sorta di monitoraggio di persone e professionisti che ruotano attorno all’estrema destra. Io sono un simpatizzante di Forza Nuova“. Spiega così, Antonio Mattia, il giornalista di Fondi indagato per aver pubblicato su Facebook la falsa foto osè della presidente della Camera Laura Boldrini, la decisione della procura di Roma di iscriverlo nel registro degli indagati. “I miei legali mi hanno detto che non c’è ancora un’ipotesi di reato”.
“La mia colpa – ha spiegato Mattia – è solo quella di aver accostato, su un profilo Facebook personale e privato, la foto di quella che solo dopo ho saputo essere una nudista spagnola all’immagine reale della presidente della Camera immortalata sulla copertina di Famiglia Cristiana. La foto osè l’ho presa da un altro sito in cui si faceva notare la somiglianza con la Boldrini, poi ci sono cascato con tutte le scarpe e l’ho accostata goliardicamente alla foto reale”. Il giornalista si è dichiarato disponibile per spiegare ai magistrati la dinamica della vicenda. “La foto è stata sequestrata in tempi record – ha raccontato – ed io ho sospeso il mio profilo Facebook per qualche ora dato che ero sommerso da richieste più o meno accettabili. In vita mia sono stato segnalato tre volte, ma mai indagato”, ha concluso.
Il presidente della Camera, a seguito della vicenda e dopo l’attacco hacker alla posta elettronica del Movimento 5 stelle aveva chiesto un maggiore controllo del web. Proposta molto contestata, che poi Laura Boldrini ha chiarito: “Non ho mai parlato di censura, l’obiettivo è arginare la violenza sulle donne”.
L’inchiesta è affidata al pm Luca Palamara. L’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta “alla luce della normativa esistente che consente l’identificazione di coloro che, travalicando i limiti della corretta informazione, oltrepassano il legittimo diritto di cronaca e di critica giornalistica”, fanno sapere dalla procura.
E il presidente della Camera è tornata a parlare di donne. Nel mirino di Laura Boldrini sono finiti gli spot pubblicitari, colpevoli di strumentalizzare l’immagine femminile. “E’ necessario porre limiti all’utilizzo del corpo delle donne nella comunicazione. E’ inaccettabile che ogni prodotto venga veicolato attraverso il fisico femminile. Le multinazionali fanno queste pubblicità con le donne solo in Italia e non in altri Paesi. Una donna oggettivizzata, resa cioè oggetto, la si tratta come si vuole e la relativa violenza è a un passo”, ha detto a Venezia.
E i pubblicitari concordano con il suo monito, a patto però, che si intervenga in maniera chiara con delle norme. “La splendida dichiarazione, che trova tutto il nostro supporto, deve tradursi in fatti tangibili e misurabili su fatti concreti da un punto di vista legislativo”. “Il problema reale – ha affermato Biagio Vanacore, presidente dell’Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti – è che la pubblicità viene sanzionata funzionalmente a quello che è il codice di autodisciplina pubblicitaria. Bisogna cambiare la legge, inserendo degli obblighi ed evitando di dare visibilità a campagne negative solo parlandone. Da parte nostra, stiamo attaccando tutte le pubblicità negative che ci vengono segnalate”.