Il sindacato di polizia difende nuovamente la posizione dei quattro colleghi incarcerati per omicidio colposo manifestando a Roma, davanti al ministero di giustizia: "Disparià di trattamento dei diversi tribunali della libertà". Il padre del ragazzo ucciso: "Che quei 4 avessero una divisa è un'aggravante"
A Roma come a Ferrara. I poliziotti del Coisp protestano con un sit-in davanti al ministero di Giustizia e in strada scendono i contromanifestanti a mostrare loro la foto di Federico Aldrovandi morto, sul lettino dell’obitorio. Il presidio nella Capitale era stato annunciato da tempo dal sindacato di polizia, reso celebre dalle vicende ferraresi del 27 marzo. Quando una delegazione si presentò con camper e bandiere a chiedere la concessione dei domiciliari per i quattro colleghi condannati in via definitiva per l’omicidio colposo del diciottenne Federico, avvenuto il 25 settembre 2005 nella periferia di Ferrara.
Quel sit-in si tenne in piazza Savonarola, di fianco al municipio dove lavora la madre del ragazzo. Una circostanza vista come una provocazione o quantomeno a rischio di equivoci dal sindaco estense Tiziano Tagliani, che scese in strada per chiedere ai manifestanti di spostarsi di qualche decina di metri. Dopo esser stato invitato in malo modo ad andarsene dall’europarlamentare di Fli Potito Salatto, presente anch’egli al sit-in, il sindaco si ritirò e al suo posto arrivò Patrizia Moretti a mostrare la foto del figlio straziato ai poliziotti che chiedevano una detenzione meno dura del carcere per i colleghi.
Ora la storia si ripete. Il Coisp si presenta davanti alle porte del ministero – in maniera del tutto pacifica – per chiedere l’applicazione dei domiciliari anche per gli ultimi due colleghi rimasti in carcere. Una presenza, quella di fronte al palazzo del Guardasigilli, voluta “per lamentare la disparità di trattamento subita dai colleghi condannati per colpa e mandati in carcere per scontare sei mesi di pena” e per “evidenziare l’incredibile difformità delle pronunce di diversi tribunali della libertà”. Il riferimento è alla disparità di trattamento dei colleghi condannati. Mentre il tribunale di Bologna ha deciso per il carcere per Paolo Forlani e Luca Pollastri, quelli di Padova e di Milano hanno concesso i domiciliari a Monica Segatto e a Luca Pontani, in applicazione dello svuota-carceri. Di qui quello che Maccari definisce un “legittimo sospetto”, di cui “ne pagano le conseguenze persone che, in realtà, scontano solo la colpa di vestire la divisa che li rende il bersaglio dell’astio, del desiderio di vendetta e del rancore di troppi”. (video intervista a Mario Vattone, segretario nazionale Coisp da www.popoff.globalist.it)
La madre di Federico non c’è, ma a Roma si presenta un gruppo composto dai centri sociali Astra e Strike e da alcuni candidati di Repubblica romana, la lista che sostiene la candidatura di Sandro Medici a sindaco della Capitale. Tra questi c’è Checchino Antonini, il giornalista di Liberazione che per primo trattò sulla stampa il caso Aldrovandi. In piedi con la foto in mano spiega che “abbiamo fatto quello che ha fatto allora Patrizia Moretti e che sarebbe tornata a fare in questa occasione”. “Il mio pensiero va alla mamma di Federico Aldrovandi – aggiunge via Twitter Sandro Medici – È un’offesa per Roma la manifestazione del Coisp”.
Il padre di Aldrovandi: “La divisa addosso a quei 4 un’aggravante”. “Non siamo qui a giudicare le sentenze, le sentenze si accettano – affermano i sindacalisti interpellati dai colleghi sul posto -. Chiediamo solo che i diritti dei poliziotti anche quando sbagliano sino gli stessi di ogni privato cittadino”. Pronta su questo punto la risposta indiretta di Lino Aldrovandi, il papà di Federico: “Di una cosa hanno ragione quando certuni affermano che “la legge deve essere uguale per tutti”. Quelle persone – scrive sulla propria bacheca Facebook – che uccisero Federico senza una ragione non erano cittadini normali, ma persone con una divisa addosso. Un’aggravante, non un’attenuante. Ora viene chiesto, oltre che di farli tornare a casa, anche di restituirgli il lavoro, quasi come se nulla fosse successo. Un cittadino normale cosa avrebbe pagato di fronte alla legge se avesse ucciso senza una ragione, in cooperazione, un ragazzo di 18 anni con un futuro davanti e tante speranze, e avesse poi per giustificarsi… detto addirittura il falso. Che facciano pure, è un loro diritto. Avranno modo di mostrare al mondo la loro immagine”. Quanto alla richiesta dei genitori di espellere i poliziotti colpevoli dal corpo, Lino Aldrovandi fa un paragone. “Ci sarebbe un datore di lavoro disposto a far finta di niente continuando a tenere quelle ‘schegge impazzite‘, definizione utilizzata dal Pg della Cassazione, nel suo libro paga?”. Non solo. “E se fosse stato loro il figlio o di un ministro?”.
Insomma “che facciano pure, è un loro diritto – continua il padre riferendosi all’iniziativa del Coisp -, avranno modo di mostrare al mondo la loro immagine”. Tramite social network arriva anche l’intervento di Patrizia Moretti, che posta la risoluzione dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, nella quale si chiede al capo della Polizia ed al Ministro di “valutare (in merito al sit-in del 27 marzo, ndr) attentamente tutte le azioni attuabili al fine di sanzionare gli autori di un tale scempio ed evitare per il futuro che manifestazioni di questo genere possano ancora avere luogo col patrocinio di un sindacato riconosciuto”. “So di poter contare sulle istituzioni del nostro territorio – aggiunge la Moretti – per un vero cambiamento che migliori la vita di tutti non lasciando che pochi vigliacchi si ritengano protetti dallo Stato quando dimenticano di essere umani”.
Quanto alla lamentata discriminazione degli uomini in divisa, “neanche mezz’ora dopo l’inizio della protesta da parte della sparuta pattuglia di sindacalisti – continua la madre del ragazzo ucciso – il segretario Maccari è stato ricevuto dal sottosegretario alla Giustizia Ferri. Invece gli attivisti che altrettanto pacificamente sono andati a esporre la foto del 18enne ammazzato a Ferrara durante un controllo di polizia tramutatosi in un pestaggio sono stati identificati dagli agenti di guardia al Ministero, perché la loro manifestazione non era autorizzata. È vero, è proprio vero: la legge non è uguale per tutti”.