Autori, indipendenza, glocalità, produzioni low budget e risultati high art: la Sardegna cinematografica è tutta da apprezzare. Registi e registri diversi, storie e racconti agli antipodi, Cristo e Godot, Kaspar Hauser e il quartiere Sant’Elia di Cagliari, dialetto e lingua inglese, ma comune è la possibilità di un’isola chiamata cinema.

Al buio in sala non la si scopre di certo oggi ma, complice una rinnovata Film Commission, la lungimiranza degli amministratori locali e i talenti autoctoni la sensazione è di una Nouvelle Vague sarda, che riserva più di qualche bella sorpresa.

Se i Gesù belli, biondi e phonati di fresco non vi sono andati mai giù c’è il Cristo che fa per voi: Su Re di Giovanni Columbu, distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti. Tratto dai sinottici, è un quinto vangelo – parlato in sardo, sottotitolato – che ripensa a Pasolini, ritrova quadri e cori da Ciprì e Maresco e guarda al Caravaggio, per tagli di luce e fisiognomica. Seguendo la profezia di Isaia – “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere” – Columbu affida Cristo a Fiorenzo Mattu, che ricorda un Bacchino tumefatto, con occhi e labbra da pesce palla. Non solo, è basso, scuro e peloso: dimenticate l’agiografia zeffirelliana, le fattezze da santino, qui il girardiano ritorno surrettizio del sacro passa dall’iconoclastia dell’immaginario eletto. Tra le pietre, il vento e la natura brulla dell’isola, Columbu fa implodere il devozionismo e ritrova la kenosis, il salvifico abbassamento di Dio al livello dell’uomo. Insomma, è il film giusto per papa Francesco

Ma non è l’unico a fare miracoli, c’è chi tra Olbia e Cagliari ha incassato più di Avatar: non è una barzelletta, ma Bellas Mariposas di Salvatore Mereu. Dopo l’anteprima agli Orizzonti della Mostra di Venezia 2012, ai dinieghi e alle titubanze dei distributori il regista di Ballo a tre passi e Sonetaula ha risposto picche: “Me lo distribuisco io!”. Per l’Italia – domani sarà anche all’Alcazar di Roma – porta in giro un piccolo grande film, anche per i numeri: finora 32mila spettatori e 200mila euro di incasso, c’è chi con le spalle coperte fa decisamente peggio.

Del resto, peggio è l’avverbio principe del nostro sistema cinema: Bellas Mariposas al Festival di Rotterdam ha preso un premio per la distribuzione e uscirà in Benelux il 24 maggio, mentre da noi si è costretti, povero Mereu, al porta a porta. In attesa ritorni in auge anche il baratto, meglio pensare a questa finzione, perché fa sul serio: dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni, Cate (Sara Podda) ha 11 anni, tanti fratelli, un padre balordo (Luciano Curreli) e la migliore amica Luna (Maya Mulas). Vorrebbe fare la cantante, sposare l’impacciato Gigi e non finire a 13 anni incinta e spacciata come la sorella Mandarina…

A Cagliari ha diviso e scosso le coscienze, riportando il cinema al centro dell’attenzione. Si chiama coraggio, quello necessario per indagare il degrado degli adulti, l’ineducazione dei piccoli e i loro derivati: pedofilia, baby-gang, tentati omicidi e trivialità diffusa, frullati con una leggerezza calviniana. Sì, si ride. Mereu è anche maestro, quella realtà la conosce bene e può trasfigurarla: a Venezia avrebbe meritato il concorso, ora merita di essere visto, fatevi sotto.

A completare il quadro, Davide Manuli, uno e bino: il 17 maggio dopo cinque anni ritorna in sala (Distribuzione Indipendente) il misconosciuto Beket, personale, apocalittica e tecno rievocazione del Godot beckettiano, con Curreli, Paolo Rossi e Roberto “Freak” Antoni. Il sequel naturale arriverà con Mediaplex il 13 giugno, La leggenda di Kaspar Hauser, che prende e supera in un lucido delirio L’enigma di Werner Herzog (1975): ora il fantomatico Kaspar Hauser è interpretato da una ragazza (la danzatrice Silvia Calderoni), prende lezioni dal dj Vincent Gallo e ci trasporta in una dimensione atemporale e “spaziale” fatta di lande desolate, dialoghi no future e grotteschi miracoli (e tre!).

A tenere insieme i due film l’indipendenza produttiva, poetica ed estetica, che accetta la sfida internazionale e riflette sul senso della trasposizione: dalle attese di Becket al Beket no future, dalla storia manchevole di Kaspar Hauser alla fantascienza distopica di Kaspar Hauser, che ribalta l’eterno dissidio tra normalità e follia, società e individuo.

Sarebbe da matti perderlo, soprattutto, sarebbe da matti non chiedere per questo cinema sardo la denominazione d’origine protetta. 

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