Dai primi passi dentro le mura vaticane (con accesso diretto all’appartamento di Pio XII) ai rapporti con Sindona. Dal caso di Wilma Montesi ai presunti contatti con Licio Gelli. E poi Salvo Lima e i boss, Ciarrapico e gli appalti. Una storia politica lunghissima, tutta vissuta nei più importanti palazzi del potere, vedendo scorrere i più clamorosi e misteriori eventi della storia del Paese. Dal dopoguerra agli anni ’90. Ecco il primo degli appuntiamenti con “Andreotti, potere e misteri”: la storia e i segreti del Divo raccontati in quattro puntate dal direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez. Clicca qui per leggere la prima puntata (“Gli sponsor vaticani portano il giovane Giulio in alto”) e la seconda (“Il rapporto con Sindona e l’Ambrosoli dimenticato”).
I SOLDI DELL’ENI – Il 17 marzo del 1981, nell’ambito dell’inchiesta Sindona, i magistrati milanesi Turone e Colombo ordinano una perquisizione a Castiglion Fibocchi, nella villa di Licio Gelli. Scoprono così gli elenchi della loggia P2. Elenchi (962 persone) incompleti, come accerterà la commissione d’inchiesta, Sono presenti ministri, alti ufficiali dell’esercito e della Guardia di Finanza, dei carabinieri. 10 parlamentari della Dc, i dirigenti dei servizi segreti dell’epoca, giornalisti e editori che riescono a condizionare nelle scelte anche una testata prestigiosa come quella del Corriere della Sera. Definita “un’associazione per delinquere dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, la loggia Propaganda 2 di Licio Gelli era più verosimilmente un’associazione segreta che si riproponeva di gestire in maniera occulta interi settori della vita economico-politica italiana. I suoi appartenenti erano tutti accomunati dalla fedeltà all’alleato americano e, molti di loro, nel nome dell’anticomunismo e del tornaconto personale utilizzavano la loggia per condurre affari illeciti di ogni tipo.
Della loggia in Italia i giornali avevano cominciato a parlare a partire dal ’74. Nel ’76, in occasione delle indagini sull’omicidio del giudice Occorsio, gli articoli su quotidiani e settimanali si erano moltiplicati. In parlamento tra il ‘76 e il ‘77 erano anche state presentate una serie d’interpellanze. Marco Pannella, nel ‘77, aveva rivolto un’interrogazione direttamente a Andreotti per sapere se il 15 dicembre avesse ricevuto Gelli a palazzo Chigi e se avesse avuto con lui un colloquio durato ore nella sede dell’ambasciata argentina. Nonostante ciò Andreotti ha sempre sostenuto di aver scoperto la P2 solo in seguito alla caduta del governo da lui presieduto nel 1979. Davanti alla commissione Anselmi ha detto di aver conosciuto Gelli solo di vista, durante l’inaugurazione dello stabilimento Permaflex di Frosinone e, ha aggiunto, di essere poi rimasto sorpreso ritrovandolo in Argentina alla festa d’insediamento del presidente Peron. Andreotti, come dimostra il caso delle bobine di La Bruna, mente. Ed è anche smentito da molti testimoni, Gelli compreso.
Se tra le carte sequestrate a Castiglion Fibocchi sono stati ritrovati i numeri di telefono di Andreotti ed Evangelisti e uno strano bigliettino di auguri indirizzato da Andreotti a Gelli nel quale il politico, in buona sostanza, ricordava al capo massone come l’uccellino che si posa sul ramo troppo debole rischia sempre di cadere, agli atti della commissione sono invece finite decine di testimonianze sull’intensità delle loro relazioni. Giovanni Fanelli, capo gruppo P2 e collaboratore dell’ufficio affari riservati del Viminale, diretto dal prefetto D’Amato, ha per esempio affermato di aver accompagnato personalmente Gelli a vari appuntamenti con Andreotti e Francesco Cossiga. Clara Canetti la vedova di Roberto Calvi, ha invece ricordato che suo marito gli spiegò che il vero numero uno della loggia era Andreotti. E anche l’avvocato Fortunato Federici ha di detto aver appreso, da un importante confratello come Ezio Giuchiglia, che Andreotti, soprannominato “il babbo” o il “gobbo”, era al vertice della P2. Una tesi, quella di Andreotti capo della loggia, fatta propria (senza però mai nominarlo) anche da Bettino Craxi, in un celebre editoriale intitolato Belfagor e Belzebù.
In quel periodo tra Giulio e Bettino tirava una gran brutta aria. I due non si parlavano da mesi. E a un certo punto persino Gelli aveva tentato di farli arrivare a una riappacificazione. Il gran capo piduista aveva bussato alla porta dello studio del leader del garofano e gli aveva detto: “Posso essere utile per molte relazioni, interne e internazionali: se lei vuole incontrare Andreotti..”. Niente da fare. Craxi gli aveva risposto a muso duro: “Guardi se lo voglio incontrare alzo il telefono e lo chiamo”. Per la pace sarebbe insomma stato necessario attendere qualche anno. Craxi, infatti, ce l’aveva con Andreotti per l’affare Eni-Petromin, un contratto miliardario concluso dal nostro paese per ricevere petrolio dall’Arabia Saudita. Quando era stato raggiunto l’accordo Andreotti era presidente del Consiglio e aveva personalmente avallato il pagamento a una società panamense di una commissione del 7% in teoria diretta ai mediatori arabi. In realtà era una tangente di 100 miliardi. Un grosso mazzettone che, secondo quanto scrivevano i giornali dell’epoca, era anche in parte destinata alla corrente di sinistra del Psi, facente capo a Claudio Signorile, e in parte agli stessi andreottiani Stando alle più attendibili ricostruzioni, con quei soldi gli uomini di Signorile avrebbero voluto scalzare Craxi dalla sua poltrona di segretario Psi e arrivare anche al controllo del “Corriere della Sera”.
Sia Licio Gelli sia il giornalista Pecorelli, come dimostreranno gli appunti e le carte sequestrate, sanno tutto del retroscena dell’affare. Craxi invece capisce solo che qualcuno lo vuole fregare. Rino Formica, ministro craxiano delle Finanze, in parlamento fa il diavolo a quattro. Ma le prove dell’avvenuta corruzione, come sempre, non saltano fuori.
IL CIARRA – Nei primi anni ’90 era difficile trovare un andreottiano più andreottiano di lui. Ciociaro, amico dello scomparso leader MSI, Giorgio Almirante e lui stesso fascista non pentito, Giuseppe Ciarrapico, era (ed è) sempre al fianco di Andreotti. La stima del capo se l’è guadagnata negli anni ’80 seguendo da vicino, per conto del leader Dc, due affari importanti. Il primo, andato male, è il tentato salvataggio del Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi. Il secondo è la guerra di Segrate, tra Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi, conclusa con la consegna (in odor di tangenti secondo le ipotesi della Procura di Milano) della Mondadori nelle mani del futuro leader di Forza Italia. Ciarrapico, con l’attuale presidente del Perugia Calcio Luciano Gaucci, e il defunto leader degli andreottiani romani, l’ex fascista Vittorio Sbardella detto “lo squalo”, è la punta di diamante della schiera di strani e da sempre discussi personaggi ammessi alla corte di re Giulio.
Proprietario di aziende produttrici di acque minerali e di tipografie (Evangelisti gli raccomandò Pecorelli per fargli stampare il suo giornale), l’oggi pluricondannato e pluriprocessato Giuseppe Ciarrapico, è sempre vicino ad Andreotti nei periodi di bufera. Tra i suoi dipendenti annovera anche il giornalista Guido Giannettini, un ex agente del Sid condannato in primo grado per la strage di piazza Fontana. Assolto in appello e in cassazione, Giannettini, nel corso delle inchieste dalla magistratura fu coperto dai servizi segreti (che lo fecero anche fuggire all’estero). Quando i magistrati chiesero notizie su di lui, i servizi opposero agli inquirenti il segreto di Stato e spiegarono di averlo fatto perché una richiesta in tal senso era stata avanzata da una serie di politici Dc, tra i quali Giulio Andreotti. L’ex allievo di De Gasperi rispose che non era vero. Ma il contenuto della sua deposizione, resa durante il dibattimento di primo grado, spinse i giudici a chiedere inutilmente alla commissione inquirente l’apertura di un procedimento per falsa testimonianza.
Nel 1996, l’ordinovista Edgardo Bonazzi, ha sostenuto davanti ai pm di Milano, di aver saputo da Giannettini che la strage era stata favorita da Andreotti. Giannettini infatti avrebbe spiegato all’amico che l’attentato (non ideato per fare delle vittime) si andava ad inquadrare in un progetto golpistico inizialmente appoggiato, in funzione anticomunista dal leader Dc e dagli Stati Uniti. Bonazzi ha anche aggiunto di essersi convinto della veridicità del racconto di Giannettini quando questi, uscito dal carcere, andò a lavorare per Ciarrapico. Il “re delle acque minerali”, del resto, deve molto al potentissimo Giulio. Soprattutto dal punto di vista economico. Buona parte delle sue fortune nascono dal lavoro di mediatore svolto presso Roberto Calvi per conto di Andreotti nel primi anni ‘80. Nei mesi precedenti al crac del Banco Ambrosiano, infatti, Ciarrapico s’incontra a ripetizione con il banchiere e con la sua famiglia e riesce a farsi imprestare circa 39 miliardi poi utilizzati per acquistare l’Ente Terme Fiuggi. Clara Canetti, la vedova Calvi, racconta, di aver visto Andreotti a Roma proprio con Ciarrapico (e con l’agente segreto-faccendiere Roberto Pazienza). E dice che a quel faccia a faccia ne erano seguiti altri direttamente tra Calvi e il leader Dc.
A un certo punto però tra suo marito e Andreotti erano scoppiati profondi contrasti sul modo con cui gestire la crisi (il rischio era il coinvolgimento del Vaticano nell’insolvenza). Ricorda la vedova: “Mio marito mi parlò esplicitamente di minacce di morte ricevute direttamente dall’onorevole Andreotti”. Anche Calvi verrà ucciso dalla mafia. Sarà invece Ciarrapico a dire a Clara Canetti: “Quando vede Craxi gli ricordi che 30 miliardi non sono uno scherzo”. Un riferimento esplicito ai finanziamenti dati dal banco Ambrosiano al Psi. Andreotti, invece, parlando di Gelli, le dice: “Pensi, quel matto vuole vedermi a Hong Kong”.
In quegli anni, dunque, Giulio Andreotti frequenta personaggi di ogni tipo. Tra i più singolari c’è il massone coperto Francesco Pazienza, collaboratore esterno del gruppo deviato e piduista del Sismi, diretto dal generale Giuseppe Sansovito. Andreotti nega di conoscerlo. Ma Pazienza, amico di molti boss della mafia italo-americana, invece, è certo del contrario. Nel 1986, Pazienza racconta ai giudici di Bologna, “di essere stato incaricato da Sansovito di condurre un’operazione segretissima, denominata Ossa, una sigla che significava Onorata Società Sindona e Andreotti”. In pratica Pazienza doveva incontrare Sindona negli Stati Uniti e convincerlo a non parlare. Il nome di Andreotti è stato ritrovato, assieme ad alcuni numeri di telefono, nelle agende dell’anno 1981 della segreteria del faccendiere.
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