Su Youtube c’è un video che mostra Ratko Mladić, capo di stato maggiore dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, mentre a favore di telecamera parla agli sfollati di Srebrenica dicendo loro di non avere paura e tranquillizzandoli che non verrà fatto loro del male. Mladić fa sfoggio di un aspetto rassicurante, parla piano, scandisce le parole, la gente rincuorata gli rivolge benedizioni. Poi però, a un certo punto, si volta e nella piega delle labbra mostra quella che conosciamo essere la sua vera natura, ossia quella del boia, del criminale incallito, dell’assassino che ha in spregio il genere umano e che da lì a poche ore ordinerà il più grave eccidio della storia europea della seconda metà del Novecento, il massacro di novemila civili bosniaci.

Un anno prima Mladić aveva perso una figlia, Ana, la sua prediletta, che si era suicidata la notte del 24 marzo del 1994 nella sua casa di Belgrado, sparandosi un colpo alla tempia con la pistola preferita del padre, quella che, per un patto di famiglia, si sarebbe dovuta usare solo per festeggiare la futura nascita di un nipote. Un nipote che non arriverà mai, perché Ana, appena tornata da un viaggio a Mosca con alcuni compagni di studi, era diventata di colpo una ragazza triste, abbattuta, incapace di sorridere. Cosa fosse successo alla figlia del generale è materia di un romanzo eccezionale, opera della spagnola Clara Usón, pubblicato in Italia da Sellerio (la traduzione è di Silvia Sichel) con il titolo La figlia.

Quasi cinquecento pagine, tre anni di ricerche, per restituirci un affresco shakespeariano, allucinato, sul rapporto che intercorreva tra il generale e sua figlia. Un amore fideistico, tanto cieco da non contemplare l’evidenza dell’orrore e delle responsabilità di Mladić nel conflitto bellico dei Balcani. Un’opera imponente che si pone sulle tracce delle antiche tragedie greche, che scruta con il mezzo letterario la deflagrazione che avviene nella psiche di una ragazza mentre comprende lentamente la verità sulla figura paterna. Una verità con la quale non riesce a fare i conti, che si intreccia indissolubilmente con la storia antica e recente dei territori della ex Jugoslavia.

Un gesto, quello di Ana Mladić, che suo malgrado avrà ripercussioni sulla Storia, che scatenerà la ferocia di Mladić fino all’estremo (il generale, pochi giorni dopo la morte della figlia, battezzerà l’offensiva di Gorazde con il nome di “Operazione Stella”, dal nomignolo affettuoso con cui era solito chiamare la sua Ana).

Nelle Odi di Orazio c’è una frase che sarebbe stata un’epigrafe perfetta per questo libro: “Delicta maiores immeritus lues” (“Piangerai senza tua colpa i delitti dei padri”). Un padre, in questo caso, che oggi, vecchio e con un aspetto malandato, siede alla sbarra del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, dopo aver passato una quindicina di anni latitante nella sua Belgrado, godendo di protezioni di ogni tipo. E che il giorno in cui si è presentato per la prima volta davanti alla corte dell’Aja, al saluto del giudice olandese «Buongiorno, signor Mladić», ha risposto: «Ja sam General Ratko Mladić».

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