Un mese e i rubinetti dello Stato si chiuderanno. Le ultime regioni andate alle urne hanno tempo fino a giugno per recepire la legge 213 del governo Monti sulla riduzione dei costi della politica. Chi sgarra perderà l’80% dei fondi statali. Così, dopo gli scandali sui rimborsi che hanno travolto il Pirellone, anche la Lombardia impugna le forbici proponendo l’azzeramento dei contributi ai gruppi consiliari partito direttamente dal governatore Roberto Maroni e dalla lista civica che lo sostiene. Un’iniziativa che non è piaciuta in modo trasversale ai neo-eletti Pd, Pdl e M5S, soprattutto perché i tagli che il presidente riserva allo staff della sua giunta (composta da 11 assessori esterni su 14) non superano il 10%. Una levata di scudi che coinvolge quindi la stessa maggioranza di centrodestra. E adesso a Maroni tocca trattare.
Dopo un mese di attività, gli esponenti del Movimento 5 Stelle sono usciti dal tavolo di lavoro che doveva mediare tra giunta e consiglio regionale. “Riteniamo che i giochi siano già fatti – spiega il consigliere M5S, Eugenio Casalino – Secondo noi, Pd e Pdl, hanno già preso un’impostazione precisa sia sugli stipendi che sui rimborsi spese. E abbiamo percepito un certo nervosismo dopo la pubblicazione dei nostri cedolini”. Una settimana fa infatti i consiglieri 5 Stelle hanno messo on line la somma percepita per il primo mese e mezzo di attività non sottolineando, secondo il Consiglio regionale, che i 16mila euro non comprendevano “le trattenute relative alle addizionali regionale e comunale che verranno applicate successivamente come stabilito dalle normative vigenti”.
Lo scontro si è consumato soprattutto sulle trattative per le somme a disposizione degli eletti per spese di rappresentanza. “Le voci del compenso, come in tutte le altre regioni, saranno due: l’indennità di carica vera e propria (circa 6.500 euro netti, ndr), soggetta a normale tassazione, e la quota forfettaria per l’espletamento del mandato”, spiega il Partito Democratico. Mentre secondo i 5 Stelle è meglio scorporare le due voci, e optare per uno stipendio di 5mila euro lordi, più al massimo 3000 euro netti per le spese che però “vanno documentate“.
Sui temi del finanziamento ai gruppi consiliari, dei collaboratori da tagliare e dei contributi previdenziali (necessari dopo l’abolizione dei vitalizi che è già in vigore) si sta consumando il confronto-scontro tra i vari consiglieri. Intanto l’Ufficio di Presidenza ha varato delle norme transitorie che riducono di due terzi il budget per le spese di funzionamento dei gruppi consiliari già presenti nella scorsa legislatura (con un risparmio di 255mila euro) e di un terzo per i nuovi gruppi. Ridotte del 65% le spese di comunicazione.
di Franz Baraggino e Francesca Martelli