Protocolli uniformi per medici, forze dell'ordine, magistrati, servizi sociali: trovare un operatore che sappia "riconoscere" il fenomeno è uno dei punti di partenza, secondo gli esperti, riuniti in un convegno a Roma. Ma altri strumenti potrebbero essere nuove tipologie di reato e sezioni specializzate nei tribunali civili
Immaginate una donna confusa e angosciata che va al pronto soccorso senza lividi, ma con disturbi psicosomatici, ginecologici, o gastrointestinali. Difficilmente un operatore sanitario si allerterà per un problema di violenza domestica, di cui invece questi sintomi potrebbero essere conseguenza. Persino quando una donna si reca a un commissariato dopo una lite familiare violenta, con l’intenzione di denunciare il marito o compagno, non sempre trova un operatore in grado di riconoscere un fenomeno che poco ha a che fare col conflitto di coppia. “Il conflitto è tra pari, la violenza presuppone una drammatica asimmetria”, spiega Chiara Gambino, psicoterapeuta e vice presidente dell’Associazione donna e politiche familiari. Che proprio l’8 maggio in collaborazione con Solidea, ha organizzato in Campidoglio, a Roma, il convegno “La violenza ingabbia… ma la rete libera tutti“. Obiettivo: riunire vari fronti che dovrebbero essere in grado di leggere i segnali – pronto soccorso, carabinieri, magistratura, servizi sociali, centri antiviolenza – in modo da dotarsi di procedure d’intervento uniformi. Sempre più urgenti dopo gli ultimi e particolarmente drammatici casi di cronaca.
Per le donne vittime di violenza la sequenza degli eventi è tragicamente simile: i maltrattamenti, uniti alla svalorizzazione continua (“Sei una stronza, non vali un cazzo”), inducono nella donna disturbi post traumatici da stress, depressione, dipendenza da sostanze stupefacenti Che la rendono spesso incapace di prendersi cura dei propri figli, vittime a loro volta di violenza assistita e di gravi, conseguenti traumi. Ma questa catena dell’orrore può, sottolineano tutti coloro che se ne occupano, essere spezzata, partendo da una richiesta di aiuto e da una denuncia da parte della donna.
Sul fronte sociale e pubblico, gli strumenti attraverso i quali si può sconfiggere questo fenomeno sono chiari e condivisi: istituire un reato a se stante che riguardi la violenza domestica, “una grande rivoluzione culturale” ha spiegato l’avvocato Domenica Santarcangelo. Creare sezioni specializzate nei tribunali per le coppie che si separino per violenza domestica. Formare gli operatori del pronto soccorso, dove dovrebbero esserci anche mediatori culturali e linguistici”, come ha sottolineato Maura Cossutta, dirigente medico del San Camillo (dove è attivo uno sportello di accoglienza per donne vittime di violenza aperto h24). Formare anche i giudici che decidono l’affidamento e gli operatori dei servizi sociali.
Infine, come ha sottolineato la consigliera del Comune di Roma Gemma Azuni, pensare a un protocollo operativo una volta che le donne hanno denunciato, o dopo l’uscita dalle case famiglia, che le aiuti a trovare lavoro e casa. Su altre misure legislative, invece, i pareri non concordano: “Già oggi possiamo applicare misure cautelari su chi perseguita o commette reato di stalking – spiega sempre Santarcangelo – e possiamo persino procedere d’ufficio anche senza la volontà delle donne, proprio per difenderle quando manca la forza”. Anche se resta un punto interrogativo su quelle donne che sono state uccise, pur avendo denunciato.
Altro fronte centrale, come ha spiegato Beatrice Dalia, avvocato e giudice di Forum, è la sensibilizzazione dell’informazione, che “limitandosi a riportare casi di cronaca, senza suggerire percorsi di uscita da queste situazioni, rischia di creare solo rabbia e impotenza“. Infine, agli uomini che hanno commesso violenza – spesso “incensurati e pubblicamente impeccabili”, ha ricordato la psicologa Simona Stefanile – dovrebbero essere offerto un percorso riabilitativo, che li porti a prendere consapevolezza della violenza compiuta (da questo punto di vista, “Donne e politiche familiari” ha una linea telefonica di aiuto anonima, creando lo slogan “Colpire non è virile”, con un’iniziativa che sarà presto portata nelle piazze).
Per fortuna, dopo le aperture del vice premier Angelino Alfano e del ministro Josefa Idem, nonché le proposte della titolare della Giustizia Anna Maria Cancellieri, sul fronte istituzionale i tempi per misure immediate sembrano maturi. Primo obiettivo: l’immediata ratifica della Convenzione di Istanbul. Mentre di ieri è la richiesta, emersa della grande assemblea pubblica di Ostia organizzata dopo la morte di Michela Fioretti, dell’istituzione di una Commissione di inchiesta sulle responsabilità dello Stato. Stato che, di sicuro, è colpevole, visto che anche l’Europa ha ripetutamente redarguito il nostro paese per la sua drammatica indifferenza verso la violenza di genere. Almeno fino a oggi.