Secondo la procura, il capo di Cosa Nostra fu ”mandante, determinatore e istigatore" dell'attentato del 23 dicembre 1984, che causò 17 morti e oltre 260 feriti. L'esplosivo usato - scrivono i magistrati nell'integrazione al capo di imputazione - è lo stesso impiegato per le bombe degli anni '90
La procura di Firenze ha inoltrato la richiesta di rinvio a giudizio per il capo di Cosa Nostra Totò Riina per il procedimento sulla strage del Rapido 904, che il 23 dicembre 1984 provocò 17 morti e oltre 260 feriti. L’inchiesta è iniziata a Napoli ma, su decisione della Cassazione, è stata trasferita a Firenze. Totò Riina fu ”mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici) appartenente all’organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni ’90”. E’ quanto scrive il pm di Firenze in un’integrazione al capo di imputazione del capo di Cosa Nostra.
Il giorno della strage una carica di esplosivo radiocomandata posta su una griglia portabagagli del corridoio della nona carrozza provocò una forte deflagrazione nella Grande Galleria dell’Appennino, a San Benedetto Val di Sambro, a cavallo fra la Toscana e l’Emilia Romagna, sul treno Rapido Napoli-Milano. Secondo quanto accertò l’inchiesta, l’ordigno era stato collocato durante la sosta alla stazione ferroviaria di Firenze Santa Maria Novella. I pm della Dda di Napoli avevano riaperto l’indagine sulla base di nuove dichiarazioni di pentiti di mafia e di camorra, tra cui Giovanni Brusca. Secondo la procura campana – che aveva chiesto e ottenuto una nuova ordinanza di custodia cautelare per Riina eseguita il 27 aprile 2011 – la strage del Rapido 904 rientrava nella strategia stragista perseguita dai Corleonesi e rappresentò la prima “risposta” ai mandati di cattura relativi al maxi processo emessi nel settembre 1984 da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
L’inchiesta è stata poi trasferita a Firenze: titolari sono il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti. La procura di Firenze fu la prima a indagare sulla strage, che avvenne in una galleria dell’Appennino, fra il capoluogo toscano e Bologna. Nel 1992 divennero definitive le condanne, fra gli altri, per il cassiere della mafia Pippo Calò, per il suo braccio destro Guido Cercola e per Friedrich Schaudinn, accusato di aver messo a punto il radiocomando della bomba. Secondo quanto emerso nell’inchiesta napoletana, l’esplosivo aveva una combinazione simile a quello poi utilizzato all’Addaura e in via D’Amelio.