Sono stato indeciso se pubblicare o meno questo post. Il rischio è quello di risultare polemico e basta, perché ciò che scrivo può risultare un semplice sfogo per una mancata candidatura. In realtà – onestamente – devo ammettere che, almeno in parte, è così: che male c’é? Sono sincero, le sane competizioni si vivono con la voglia di vincere e non con l’infinita ipocrisia dell’importante è partecipare. Come diceva un giovanissimo Nanni Moretti al suo sfidante Mario Monicelli, che rappresentava nel salotto televisivo di Match (Rai 3, 1977) la politiche des auteurs: “Un regista esordiente deve essere presuntuoso”.
Dicevo, non è tanto per la mancata candidatura tra le opere prime ai David di Donatello del mio personale lavoro che scrivo qui oggi, il nostro è un film minuscolo che ci ha già regalato una marea di soddisfazioni sopra ogni aspettativa. Il vero motivo è che mi sto interrogando… perché la cosa frustrante, che percepisco anche da alcuni post rabbiosi sulla sezione dei cortometraggi, riguarda il panorama giovanile del cinema italiano; di cui sempre ci andiamo lamentando. Il punto è che siamo sempre alle solite logiche italiche. Mi, e vi chiedo: a parte tra i big, in cui devono esserci autori e professionisti di un certo spessore, a cosa servono i debuttanti (questi sconosciuti)? Vi domando: chi devono essere, in linea teorica, le persone che si approcciano per la prima volta al mestiere del cinema? Devono essere registi scafati o di prospettiva?
Rifletto su che futuro può avere il nostro cinema se di scuole di cinema in Italia – praticamente – non ce ne sono. Se di soldi per fare cinema in Italia – senza il praticamente – non ce ne sono. E quando ci sono, spesso e volentieri, avvantaggiano in graduatoria al Ministero chi ha già ottenuto un premio come lo possono essere i David di Donatello stessi. Recentemente è stato scritto un bell’articolo su Lettera 43 a cura di Michele Anselmi che si interrogava se non siano troppi 1.721 giurati per questa manifestazione, di cui (di fatto) 600, più o meno regolarmente, nemmeno votano; anche se ne hanno piena possibilità. Se non vadano riviste alcune dinamiche per non favorire i corporativismi, fidandosi di chi i film se li vede veramente.
Ma davvero Laura Morante, Luigi Lo Cascio o Alessandro Gassman (tutti e 3 candidati alla migliore regia ‘esordiente’) hanno bisogno di vincere un David secondo i 1.721 membri? Perché non si tratta solo di meritare (merito, appunto) un premio, deve esserci pure un pensiero che quel dato riconoscimento agevolerà un debuttante per un’opera seconda. A fronte di giovani autori, sicuramente acerbi, che si sono contraddistinti con interessanti lungometraggi come (solo per citarne alcuni) Comodin, Dipaola, Fuksas? Poi, per favore, non mi additate come rottamatore: la candidatura di Leonardo Di Costanzo con L’intervallo (film molto bello e meritevole) è sacrosanta, ma l’unica trentenne è la Farina.