Al cinema Lumiere di Bologna per presentare Fedele alla linea, il documentario su di lui di Germano Maccioni, l'ex Cccp spiega: "Mi spavento delle persone che fanno della politica una religione, più cresco meno importanza le do”.
Duecento persone in sala durante e dopo la proiezione, un altro centinaio in attesa per lo spettacolo successivo, i fan storici che lo vogliono baciare e toccare: Giovanni Lindo Ferretti, mahatma Lindo, atterra alla Cineteca di Bologna per accompagnare Fedele alla linea, il biopic diretto da Germano Maccioni, prodotto da Articolture, che lo vede “volontario” protagonista.
“Quando canto sto con gli occhi chiusi perché mi sento uno strumento tra due entità”. La mistica ferrettiana servita su un piatto d’argento, anzi di pietra. Pietra di montagna, terra e fango, neve e pioggia, cavalli e aquile, la natura degli Appennini reggiani – Cerreto Alpi e dintorni – sfonda il muro della percezione per un documentario che doveva intitolarsi Saga e perlustrare il terreno mitologico, diverso (o forse identico?) alla figura di Lindo.
“Ho detto a Maccioni”, spiega Ferretti ad un pubblico in religioso silenzio, “che se parli di me dobbiamo fare un giro in chiesa”. Silenzio, si gira. Il percorso appenninico e spirituale dell’ex leader dei Cccp prende le mosse da dentro una chiesetta in cui Ferretti entra, s’inginocchia, si fa il segno della croce, si china, inserisce due monetine, estrae due candele, prega.
“Sono un cattolico, solo gli sciocchi pensano che sia una dichiarazione ideologica”. Ferretti non si esime su grande schermo e in sala nel rispiegare un punto di vista etico che nel 2008 l’ha visto sfociare in una virulenta campagna antiabortista a fianco di Giuliano Ferrara e il cardinale Ruini: “C’è molto di male nella famiglia e nella Chiesa, ma senza famiglia e senza Chiesa non si vive. L’uomo deve essere in grado di percepire il tragico dell’esistenza”.
Così si apre un sottotraccia filmico che lentamente diventa un architrave tematico che sa di umano dolore. Le malattie di Lindo Ferretti, che lui snocciola senza enfasi quasi come fosse scritto da qualche parte che dovesse subirle: la peritonite da adolescente, il tumore al polmone e quello allo stomaco da adulto: “Si vive quando s’impara a conoscere la morte, come a ridere e a piangere. La volta del polmone sentivo una cosa rotonda qui sopra la spalla, come esterna a me, dodici centimetri, come un cd”.
Fedele alla linea non scansa l’uomo protagonista, ne intreccia il passato che non torna (il ’68, i Cccp, il rapporto intimo e complesso con la madre) e lo sormonta con una passione per i cavalli e per la compagnia teatral equestre La corte transumante di Nasseta con cui Ferretti lavora da alcuni anni: “Finita la storia coi Cccp ho cambiato vita, ho cominciato a prendermi cura dei cavalli. Gliel’ho detto anche alla produzione del film: non chiedetemi soldi per il documentario, ho speso tutto nei cavalli”.
Difficile comunque pensare che Giovanni Lindo Ferretti proprio un’occhiata al mondo politico attuale non la dia: “La sala cinematografica non è un luogo adatto per parlare di politica”, afferma, “anche perché mi capita di essere piacevolmente odiato, ma anche questo fa parte della vita soprattutto quando dici le cose in faccia. Diventando vecchio sono diventato cattolico, stronzo e reazionario”.
L’ex “fedele alla linea” ci tiene a precisare che, paradossalmente, tutto è come allora, distanziante dall’ortodossia: “Mi spavento delle persone che fanno della politica una religione. Per me la politica è parte essenziale della socialità, ma non è parte essenziale dell’individualità. Più cresco meno importanza do alla dimensione politica. Il suo valore continua ad averlo, ma più la restringiamo più stiamo meglio”.