La prima volta che ho sentito parlare di te dicevano che “potenzialmente sei l’unica donna in Italia che può esser considerata un “Bollani al femminile”? Condividi quest’opinione? E se siete simili, in cosa ritieni che lo siate?
Non la condivido affatto! Stefano Bollani è un grandissimo jazzista, cosa che io non sono per niente! Forse di simile abbiamo l’approccio, senza tabù o falsi pregiudizi, nei confronti dei generi diversi. Purtroppo è un fenomeno molto frequente, soprattutto in Italia: a meno di non parlare di grandi nomi, riconosciuti a livello internazionale, che riuniscono pubblici diversi, è raro incontrare appassionati di jazz a un concerto di indie-rock, o appassionati di classica a un concerto di elettronica, e viceversa… Io trovo, invece, che l’interessante non sia costituito dal genere musicale, ma da come lo si affronta (e ci si allontana da esso): se c’è autenticità, urgenza espressiva, personalità, cose nuove da dire, comunicativa, allora mi coinvolge qualsiasi tipo di musica. Se invece ritrovo forme che già conosco, imitazioni di qualcos’altro, allora perdo interesse, laddove magari la maggior parte del pubblico si sente rassicurata dal riconoscimento di un genere.
Qual è il tuo approccio alla musica?
Mai sazio… Se avessi il tempo andrei non solo a tutti i concerti di musica più sperimentale (contemporanea, jazz o indie-pop-rock), ma anche a tutti gli spettacoli di danza e teatro che vadano nella stessa direzione di ricerca. Queste altre forme d’arte affinano la sensibilità compositiva e il senso della drammaturgia, e sono cibo per l’immaginario e la creatività. Io stessa mi ritrovo a sperimentare con la voce molto di più in questi ambiti che in quelli prettamente musicali, e proprio da intensi lavori coreografici prendono spunti alcuni miei brani, come The Invisible Circus, la seconda traccia del mio nuovo album: il pezzo nasce da un’esperienza coreografica emozionante in Olanda, con Sara Wiktorowicz. Suo è l’accostamento di queste parole al primo sguardo prive di significato, ma che servivano a costituire l’ossatura di un materiale corporeo (e vocale, improvvisativo) molto forte, a guidarne la logica interna. Non venivano pronunciate in scena, ma mi sono tanto rimaste impresse che ne ho voluto fare una canzone.
Ascoltando il tuo disco, molto vario, il primo brano è drum’n’bass, emerge una sperimentazione che però sembra andare nella direzione di un suono “classico”. È così?
Se per classico si intende ciò che è composto per strumenti acustici, si potrebbe dire che il disco ha due anime: una più rock, con chitarre elettriche e synth (Little Fish from the Sky, The Invisible Circus, Princess, Sky-Stripes in August, Denti), e una con più fiati e archi (I fuochi d’artificio, Dog in Space, Lina, la versione orchestrale di Sky-Stripes in August). Ma in generale trovo che la sensazione di ‘classico’ sia molto soggettiva. La mia intenzione è stata quella di restituire a ogni canzone la sonorità che più le si confaceva, a volte anche con grandi contrasti, come in Niente dei ricci, che alterna la soavità di violino e violoncello alla violenza delle percussioni metalliche dentro alle corde del pianoforte, o come in Lina, che mescola una forma canzone arrangiata per tre sassofoni, pianoforte, violoncello e fisarmonica alla pulsazione costante dell’elettronica.
Ritieni che ci siano strade ancora inesplorate nel mondo della musica o tutto è stato disvelato?
Sono molto ottimista al riguardo, perché trovo sempre delle novità musicali che, oltre a darmi un piacere fisico ed estetico, mi smuovono a comporre cose nuove; e questo è segno che hanno fatto breccia e aperto nuovi spiragli, almeno dentro di me.
Che tipo di musica stai ascoltando in questo periodo?
Di tutto. L’ultimo brano che ho ascoltato allo stereo era il Preludio del Tristano e Isotta di Wagner… Invece l’ultimo concerto è stato quello di una band indie-pop di Portland, i Parenthetical Girls, di cui ha fatto parte per un bel po’ Jherek Bischoff che ha orchestrato l’ultima traccia del mio disco. Nella stessa direzione di libertà e originalità sono i Dirty Projectros, poi c’è l’ambito delle donne cantanti-compositrici, che mi affascina moltissimo: fra queste Tune-Yards, una musicista newyorchese con voce da nera, energia e idee da vendere, My Brightest Diamond, Amy X Neuburg, Emily Bezar (con queste ultime due ho avuto l’onore di dividere un palco, a San Francisco), Gaba Kulka (in Polonia) e Amy Kohn, una compositrice davvero geniale, sicuramente la più visionaria di tutte. Resto convinta del fatto che le donne abbiano un potenziale espressivo enorme, e ancora poco manifestato, visto che la musica, per lo meno nella sua matrice profonda (quella compositiva) rimane territorio prevalentemente maschile.
PETRINA TOUR 2013
11 maggio – Cinema di Santorso (VI) in duo con Gianni Bertoncini (voce, piano, batteria, elettronica) per reading letterario
16 maggio – Radio Città del Capo, Bologna, in duo con Mirko Di Cataldo (voce, tastiere, synth, chitarra, basso)
25 maggio – Serra dei Giardini della Biennale, Venezia, in duo con Mirko Di Cataldo (voce, tastiere, synth, chitarra,
01 giugno – Ex Macello, Padova – primo concerto di presentazione dell’album Petrina, in quartetto
17 luglio – Cortile del Carmine, Lugo (RA), concerto di presentazione dell’album Petrina, in quartetto
18 luglio – Botanique Festival, Bologna, concerto di presentazione dell’album Petrina, in quartetto
19 luglio – Giardini Sospesi, Padova, concerto di presentazione dell’album Petrina, in quartetto
11 agosto – Time in Jazz, Berchidda, concerto di presentazione dell’album Petrina, in quartetto
12 agosto – Time in Jazz, Berchidda, concerto in solo piano-voce