Da tempo, il prezzo del metallo è in calo sui mercati globali, a causa dell'azione di grandi fondi speculativi che attuano le cosiddette “short selling” per vendere a 100, rimcomprare a 80 e guadagnare 20. Ma un esercito di formiche risparmiatrici si è messo di mezzo
“Le madri cinesi spingono in alto il prezzo dell’oro”, titolava il South China Morning Post, secondo cui le signore in questione hanno “battuto Wall Street”. “Da un paio di settimane, hanno puntellato i prezzi precipitandosi sull’oro per i matrimoni delle figlie – aggiunge il quotidiano di Hong Kong – sventando così il piano dei guru finanziari, che vendevano allo scoperto il metallo prezioso nella speranza di spingerlo più in basso”. Dopo la prima ondata di “mamme”, c’è stata una forte ripresa dell’oro sia sui mercati internazionali sia su quelli nazionali, “ma la febbre d’acquisto non è scomparsa”, racconta il Global Times, spin off in lingua inglese del Quotidiano del Popolo.
Il future sull’oro di giugno si è assestato su 1.446,20 per oncia sul Comex, il 6 per cento al di sopra del prezzo del 15 aprile. Immaginate un tiro alla fune: di qui la “sciure” cinesi, di là gli gnomi di Wall Street. Di fatto, la corsa all’oro dei cinesi qualunque ha messo in crisi le strategie dei grandi speculatori internazionali. Ecco che cosa è successo. Da tempo, il prezzo dell’oro è in calo sui mercati globali, a causa dell’azione di grandi fondi speculativi che attuano le cosiddette “short selling” (“vendite allo scoperto”). È una tecnica che consiste nel cedere un certo asset (azioni di imprese o “futures” sulle materie prime come l’oro appunto) in quantità tale da determinarne il crollo del prezzo sui mercati, per poi ricomprarlo immediatamente dopo: il guadagno deriva dalla differenza tra il prezzo a cui si è venduto l’asset (metti 100) e quello a cui lo si è ricomprato (metti 80).
Il paradosso è che molto spesso gli speculatori non possiedono neanche il bene in questione, ma se lo fanno prestare da chi lo detiene effettivamente. A operazione conclusa, lo restituiscono, pagano un compenso prestabilito e si tengono il guadagno realizzato. È un modo per creare denaro dal denaro, senza nessun nesso con il valore reale della merce che si tratta. È un’attività speculativa che può prendere di mira qualunque cosa sia quotata sui mercati finanziari, dal granoturco ai debiti sovrani degli Stati europei (esempio, quest’ultimo, non casuale).
Ora, il giochino funziona perché solo i grandi fondi speculativi hanno le risorse necessarie per spostare (cedere e ricomprare) grandi quantità di prodotti finanziari. Ma se un esercito di formiche risparmiatrici si mette di mezzo facendo massa critica, anche il Soros di turno può restare con un palmo di naso. Ne parlano i media cinesi. Il 15 aprile, il future sull’oro di giugno è sceso del 9,3 per cento, fino a un prezzo di 1.361,10 dollari per oncia, la perdita giornaliera più ripida in quasi 30 anni. In conformità con il mercato internazionale, anche al Shanghai Gold Exchange e al Shanghai Futures Exchange il prezzo è sceso. Ed ecco che milioni di piccoli investitori cinesi si sono precipitati a comprare oro fisico, remando in senso contrario rispetto ai venditori “short”, in una rivincita dell’economia reale su quella di carta. “La Corsa dei consumatori cinesi all’acquisto dell’oro ha sicuramente spinto verso l’alto il suo prezzo a livello internazionale, dato che la disponibilità della commodity si è ridotta a causa dell’impennata nelle vendite”, ha commentato Wang Ruilei, capo analista della Boyin Precious Metal Investment di Chengdu. “È da anni che non vediamo una corsa [all’oro] del genere”, ha invece detto Jiao Guangyi, vice direttore di Beijing Sun Gold Store, al Global Times.
La perfetta sintesi di economia reale e pragmatismo cinese è tutta nella ferrea logica di Gu Jiahui, un signore di Shanghai che di recente ha comprato un bel lingotto. Intervistato dal South China Morning Post, Gu ha spiegato: “Le oscillazioni dei prezzi dell’oro a livello internazionale non ci importano. Se le banche continuano a fare le vendite allo scoperto, ne compreremo sempre di più. Per quanto mi riguarda, ho più fede nell’oro che nello yuan”.
Gabriele Battaglia