Perché lui sì e noi no? L’idea di un salvacondotto dall’interdizione per Berlusconi non urta solo il cittadino onesto e incensurato. Riesce a sollevare un senso d’ingiustizia anche nei criminali comuni, perfino in quelli che non si facevano troppi problemi a piantar la pistola alla tempia d’un cassiere. “Egregio Sign. Presidente, sono una ragazza siciliana, ho 31 anni e purtroppo nella vita anche io ho compiuto qualche reato…”. Inizia così una delle lettere dal carcere di Maria Lorenza Ciancio a Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Fino a cinque anni fa lei assaltava banche a mano armata e per i giudici era “l’anima nera di un sodalizio criminale” che fino al 2005 ha terrorizzato il centro-sud Italia. Poi l’arresto, il 2 dicembre di otto anni fa, e la successiva condanna con interdizione dai pubblici uffici. Le lettere di Lorenza, all’epoca, erano appelli di un’elettrice del centrodestra in catene. Non se la prendeva coi propri giudici, non cercava un’assoluzione per sé stessa. Chiedeva semmai di riformare un istituto di legge che “istiga al reato perché non dà modo di poterci reintegrare nella società”. Da Palazzo Chigi non è mai arrivata risposta. Di interdizione, del resto, si parla solo ora che a rischiare grosso è il leader del Pdl. Così Lorenza, che non ha più 25 anni e ha finito di scontare la sua pena, riprende a scrivergli, non più coi toni della supplica ma della disillusione e della rabbia. E non è la sola.
In Italia, infatti, c’è un popolo degli interdetti che sempre spera in un qualche provvedimento di clemenza. E che oggi pare non darsi pace di fronte ai tentativi dell’ex premier di scongiurare condanne per via politica, con leggi e soluzioni rigorosamente ad personam, con la nomina a senatore a vita e fino alla conquista della Presidenza della Repubblica. Anche un po’ incautamente, alcuni scelgono la rete per dare sfogo alla propria frustrazione, laddove cercano consigli e scialuppe legali per superare l’esilio civile che li accompagna. Si definiscono “fantasmi” e per loro non c’è pacificazione in vista. Il dramma – per la maggior parte – è ritrovare un lavoro perché (solitamente) non sono miliardari, non hanno tv, partiti, piazze per protestare la propria innocenza. Quanti siano non si sa esattamente, le statistiche ministeriali non lo riportano. Ma la base è ampia: pesca tra i 67mila detenuti nelle carceri, i tanti che ne sono usciti, passa per i 20mila ammessi a misure alternative e i 3mila in libertà vigilata. L’interdizione pesa particolarmente su alcune categorie come gli amministratori, insegnanti, militari, medici, autisti che devono cercarsi un impiego ormai fuori dalla pubblica amministrazione. Ma colpisce anche pensionati e i disoccupati che, con l’interdizione, perdono anche il diritto a ogni assegno a carico dello Stato. Qualcuno, come Giorgio, chiede se può aprire almeno una partita Iva “perché nessuno ti assume e per lavorare devi pur trovare un regime fiscale minimo”.
Per i politici, invece, il problema fondamentale dell’interdizione sembra essere l’impossibilità di ricandidarsi alle elezioni o di tornare ai propri scranni nelle istituzioni. Insomma, garantirsi un altro giro di valzer. E non è solo il problema di Berlusconi. L’ex consigliere regionale Fabrizio Lucà scrive a un legale online di essere stato condannato a sette anni per concussione e chiede lumi sul proprio destino. Il punto, precisa, è che la condanna in primo grado determinava anche la sospensione per 18 mesi dalla carica di consigliere e vuole capire se al termine della pena accessoria potrà rientrare in consiglio. Il legale, sentenza della Corte Costituzionale 141/1996 alla mano, spiega che fino a condanna definitiva nessuno può essere colpito da “incandidabilità“, proprio come Berlusconi (che però ci sta arrivando, con l’ultimo grado in Cassazione del processo sui diritti tv). “Spetta invece alla Corte, caso per caso, decidere la sospensione di diritto dalla carica alla quale si è stati eventualmente eletti”. Nel popolo degli interdetti prende corpo l’idea che delinquenti comuni e politici abbiano una stessa legge ma problemi e destini molto diversi: la sopravvivenza reale da una parte, quella politica dall’altra. Ecco perché l’ipotesi di un salvacondotto per B. sta alimentando l’indignazione. E nell’impotenza personale i muri del pianto digitale, i luoghi-rifugio per confessioni private e consulenze last-minute diventano improvvisamente bacheche pubbliche per affiggere parole di rabbia.
Lorenza Ciancio, che le cronache del tempo raccontano bella e spietata, torna così a scrivere a Berlusconi: “Egreg. Presidente non è la prima volta che le scrivo, ma questa volta confido nell’avere un riscontro positivo” esordisce nell’ultima lettera postata anche sul web. “Ormai è da tempo che sentiamo parlare di riforme di giustizia ed altro ma ancora oggi, per un motivo o un altro, non si è verificato niente di concreto, se non il sollecito nell’applicare il Lodo Alfano per lei stesso. Ritengo tale legge un’altra ingiustizia verso il popolo italiano, poiché non comprendiamo perché lei possa ripulirsi dei suoi reati e il comune cittadino deve continuare a pagare un prezzo già estinto, nessuno vi ha chiesto sconti né clemenza, ma oggi, dopo aver silenziosamente pagato con la reclusione, chiediamo la nostra dignità (…) La cosa più assurda sta nel pensare che realmente i nostri rappresentanti credano che il popolo possa ignorare certe disparità di trattamento”.
Disparità che il popolo interdetto avverte su più piani. Antonio D., è stato beccato con dosi di droga che eccedono la quantità personale, si è ripulito ma spiega che non può mondare l’interdizione perché “non ho Ghedini, Longo e tutti i soldi di Berlusconi”. Vorrebbe rivolgersi al Tribunale della Libertà ma dice che servono soldi per mandare avanti l’istanza (che il suo legale, per altro, sconsiglia). La disparità economica è accompagnata da un fatto politico: i legali che difendono il Cavaliere in tribunale e in tv non sono solo i migliori sulla piazza, sono anche quelli che – terminate le arringhe per il proprio assistito – vanno ad accomodarsi nelle commissioni giustizia del Parlamento. Nessun condannato con l’interdizione sulla testa, infine, ha a sua disposizione schiere di solerti deputati pronti ad arare la strada della legge, depositando e approvando misure ad personam.
Tre sono già pronte. Due disegni di legge targati Pd (uno del prodiano Sandro Gozi alla Camera, uno in Senato firmato da Luigi Manconi) e uno del Pdl a firma di Luigi Compagna, l’uomo che la scorsa legislatura tentò di restaurare l’immunità parlamentare con un altro ddl bipartisan. Il suo provvedimento contiene una doppia assicurazione per il Cavaliere: prevede un’amnistia per i reati commessi fino al 14 marzo 2013 (esclusi alcuni, ma non quelli che riguardano Berlusconi), più un indulto di quattro anni con automatica cancellazione “per intero delle pene accessorie temporanee”. Ed ecco che nel popolo degli interdetti rivive, improvvisa, la speranza. E l’augurio vi lunga vita alle larghe intese perché finiscano per allargare pure le sbarre, che alla fine la sinistra più sensibile al tema generale del sovraffollamento carceri sposi la singolare esigenza della destra di salvare il proprio leader. Per Maria R. sarebbe un miracolo. Non dice perché è stata condannata, giura però di essere oggi una persona onesta e una buona madre: “Mi chiedo però se c’è una possibilità di riscatto per me o se sarò punita per sempre, mentre al governo abbiamo persone colluse con la mafia che legiferano”. E in nome di un governo, magari, la fanno franca.