La crisi abbatte la domanda di gas e fa scendere i prezzi, ma il gruppo italiano è vincolato ai contratti "take or pay" firmati con Mosca ai tempi di Silvio Berlusconi. E l’azienda tenta di scaricare il costo degli errori passati sulle bollette
Da macchina da soldi a ricettacolo di perdite operative e svalutazioni. È l’evoluzione del business gas di Eni. Colpa dei grandi contratti di importazione dai Paesi produttori come Russia e Algeria. Il crollo della domanda dovuto alla crisi ha lasciato Eni alle prese con penali e obblighi pluriennali di acquisto per cifre da capogiro. Ed è forte la tentazione di passare il conto al “parco buoi” dei consumatori.
Nel 2012 la divisione Gas&Power di Eni ha registrato una perdita operativa di 3,2 miliardi, in gran parte dovuta a svalutazioni di asset nella vendita per circa 2,5 miliardi. La revisione dei valori degli attivi è dovuta al contesto di mercato: negli ultimi quattro anni i consumi italiani sono crollati, tornando sotto i livelli del 2003. In Europa le cose non sono andate meglio. Oltre alla crisi hanno pesato l’aumento di produzione elettrica da rinnovabili e carbone, che ha tolto spazio al gas, e un parallelo incremento dell’offerta di gas via nave, effetto indiretto del boom dello shale gas negli Usa.
Una tempesta perfetta per Eni e gli altri grandi fornitori di gas, che si sono trovati a competere per una domanda asfittica mentre i prezzi sui mercati a breve (spot) crollavano per la molta offerta.
Qui entrano in gioco i contratti: costruiti su impegni di importazione pluriennali, contengono clausole dette take or pay (“prendi o paga”) che obbligano a ritirare ogni anno un quantitativo minimo di gas o a pagarlo comunque, salvo ritirarlo in seguito. Il tutto a prezzi che seguono l’andamento del petrolio e per questo sono oggi fuori mercato rispetto ai più bassi prezzi spot.
Risultato: secondo l’ultimo report 20-F dell’Eni alla Sec americana, da quando con la crisi i consumi hanno iniziato a calare Eni ha prepagato gas non ritirato per 2,37 miliardi. Per il prossimo quadriennio 2013-16 la società prevede di onorare i suoi obblighi, grazie a rinegoziazioni dei contratti. Intanto però sul gruppo gravano impegni colossali: per i prossimi anni ritiri minimi per 15-18 miliardi di euro l’anno, per un totale di oltre 247 miliardi da qui alla scadenza dei contratti.
Come limitare i danni? Secondo il piano industriale Eni il fattore decisivo sarà la rinegoziazione coi fornitori, per avvicinare i prezzi a quelli dei mercati spot e allentare un po’ gli obblighi di ritiro. Ma c’è una strada più semplice: traslare almeno parte del fardello sull’ultimo anello della catena, il consumatore.
Nell’energia una via per socializzare una perdita è quella amministrativa. E un possibile strumento lo ha indicato l’ad di Eni Paolo Scaroni lo scorso autunno: poiché i contratti take or pay garantiscono all’Italia forniture sicure ma attualmente fanno perdere soldi, ha detto durante un’audizione al Senato, chi paga le bollette dovrebbe contribuire a mantenerli in vita, pagando di più.
L’accoglienza per la proposta di Scaroni non è stata calorosa. Perché pagare di più proprio quando l’attuale abbondanza di offerta renderebbe possibili forti risparmi? In un primo momento l’Autorità aveva in parte accolto la richiesta, ipotizzando un “premio sicurezza” in bolletta da circa 800 milioni all’anno per i soli titolari di contratti take or pay (Eni, Enel, Edison e pochi altri). Poi ha corretto il tiro annunciando che da ottobre, quando i consumatori inizieranno a pagare prezzi interamente legati ai mercati a breve con un risparmio atteso del 6-7%, un bonus tariffario per i big ci sarà, ma ridimensionato.
Da qualche tempo iniziano finalmente a vedersi alcune concrete occasioni di risparmio per chi abbandona i prezzi regolati per quelli liberi. Tuttavia dietro ad alcune proposte possono nascondersi brutte sorprese. Si pensi alle offerte a prezzo fisso, pubblicizzate come assicurazioni contro aumenti futuri. Ha senso per il consumatore bloccare il prezzo oggi quando, come abbiamo visto, le bollette si avviano a scendere almeno da qui a fine anno? Sarebbe poi folle congelarlo a un livello superiore all’attuale. Che è invece proprio ciò che fanno molte proposte. Basta fare un giro sul Trovaofferte sul sito dell’Autorità: alcune formule “fisse”, quelle con sottoscrizione online, danno risparmi apprezzabili. Altre però, spesso proprio quelle più pubblicizzate, bloccano il prezzo a un livello uguale o anche molto superiore al regolato.
Un cliente tipo che sottoscriva oggi un’offerta Eni3 o Eni Fixa spenderebbe, a seconda della residenza, 40-60 euro in più all’anno rispetto al prezzo regolato, neutralizzando per intero il calo del 4% deciso dall’Autorità ad aprile e autoescludendosi da quelli futuri. Con Enel “Energia Sicura” il maggior esborso sale addirittura a 90 euro e arriva fino a 150 euro con “A Tutto Gas” di Sorgenia. Molte campagne promozionali sul prezzo fisso sono partite lo scorso autunno, quando alle imprese era già nota l’intenzione dell’Autorità di riformare i prezzi. Meno certo però è che lo sapessero o lo sappiano tuttora i consumatori.
Interpellata sull’argomento Eni ha sottolineato attraverso un portavoce che “oltre alle offerte bloccate, che consentono comunque di fissare i prezzi per 2 o 3 anni a seconda dell’offerta per scommettere su un risparmio nel tempo, dà anche la possibilità di un risparmio immediato, con prezzi inferiori rispetto a quelli fissati dall’Aeeg, come per esempio le offerte Young, Link e Free”.
di Gionata Picchio
da Il Fatto Quotidiano dell’8 maggio 2013