Quando lavoravo in fabbrica, operaio turnista, si parlava di scioperi e ingiustizie, di vertenze e divergenze. Si parlava di andare a Roma a manifestare, quelle grandi manifestazioni con migliaia e migliaia di operai da tutta Italia. Al primo giorno di sciopero grande successo, sempre (quasi mai gli impiegati). Al secondo giorno pochi illusi fuori dai cancelli. Erano gli anni in cui si prendeva a scioperare di lunedì o venerdì, ponte lungo per dirla tutta. Che senso aveva andare a Roma se non eri in grado di meritarti il suolo che calpestavi a casa tua? La rivoluzione è una parola grossa, spesso usata a sproposito, ma quando nella mia città, Parma, non avremo più vandalismo sistematico sulle altalene dei bambini al parco, allora si potrà parlare di rivoluzione.
Le favole hanno un inizio, un buono, un cattivo, lo scontro tra bene e male, una fine. Siamo dentro a una metafora: da un lato c’è un forno per incenerire rifiuti e dall’altro un sistema per produrne sempre meno. Eppure l’inceneritore di Ugozzolo doveva bruciare solo i rifiuti del territorio locale, sarà un buon investimento solo se avrà cose da ridurre in fumo. Ma se lo affamo… cosa brucerà?
La rivoluzione non è un pranzo di gala, forse è un piatto sporco nel quale mangiare a mani nude da usare poi come tovagliolo, difficile non imbrattarsi. La rivoluzione è qualcosa che accade prima che il fumo ti offuschi la vista. La rivoluzione è qualcosa che non aspetta il consenso della magistratura, non si aspetta che l’arresto del cattivo sancisca l’indignazione popolare. Intanto l’inceneritore sbuffa i primi rifiuti di prova, mentre Parma spinge sulla raccolta differenziata: siamo a un bivio e tiriamo dritto. Questa favola puzza di bruciato e nel dubbio dirò ai miei figli che è brutta da trattenere il fiato.