Rintocchi di campane a morto a Milano Ovest. Nella notte si è spento Luciano Lutring, 76 anni, leggendario gangster anni Sessanta. Era ricoverato all’ospedale Castelli di Verbania. Malato da tempo, è caduto in coma venerdì scorso e nelle ultime ore è stato assistito dall’ex moglie, Flora, e da una delle figlie. I funerali verranno celebrati a Massino Visconti, il paesino sulle montagne di Stresa. “E’ rimasto il solito Lutring fino all’ultimo: allegro, ottimista, sorridente. Anche se ormai aveva capito che era agli sgoccioli” è la testimonianza è di Giorgio La Torre, amico dell’ex ‘solista’.Fu testimone e protagonista della trasformazione di una città che proprio in quegli anni, sospesa tra boom economico e povertà, sostituì alle battute in milanese durante le rapine quelle di tutti i dialetti del mondo. Una trasformazione urbanistica e sociale, che Lutring visse in prima persona.
Era nato in via Novara, tra San Siro e Baggio, dove da una parte abitavano (e abitano) gli sciuri e dall’altra il sottoproletariato: là i genitori avevano un bar, il Crimen bar, che ora non c’è più così come il caseggiato che l’ospitava; là aveva frequentato le scuole Manara di via Fratelli Zoia, e là, quando l’America diventò l’approdo simbolico di una generazione, fece propri i suoi miti: comprata una Cadillac, per tutti divenne l’Americano. Ai tempi avvenne però un’altra trasformazione: quella del concetto di malavita. Agli albori, infatti, bastava entrare in una banca e saltare il bancone per portarsi via il bottino, tanto che anche Lutring cominciò così, quasi per caso. Allora c’erano sì le bande seriali, ma anche rapinatori solitari abbacinati dalla nuova società dei consumi, malavitosi amanti della bella vita e ancora rispettosi dell’etica criminale vecchio stampo. Ecco, Lutring era uno di questi. Non contento della Cadillac, decise di comprare un altro mito nero dell’America: una pistola Smith & Wesson senza pallottole. E non sapendo dove metterla, la nascose nella custodia di un violino. Sperava non la trovasse il padre, la sequestrò la polizia. Subito la stampa lo apostrofò come “il solista del mitra”, trasformandolo in un mito: “il Dillinger italiano” (un altro degli infiniti soprannomi). Fu una leggenda creata ad arte dalla stampa, come in futuro accadrà spesso. Una nomina che farà di un uomo un criminale.
In verità Lutring è passato alla storia per le rapine con il metodo della ‘spaccata’. Come quella che, per ingraziarsi la compagna, commise in un negozio del centro una notte di Natale: tirò giù la vetrina con un bastone e si portò via una pelliccia, manichino e aghi compresi. Poi, quando banche e negozi si dotarono di vetri infrangibili, non si perse d’animo: e dai bastoni passò alle armi. E quando misero i vetri anti-proiettili, cominciò con gli assalti armi in pugno. E quando arrivarono le guardie giurate davanti alle filiali, sparò per davvero. Ecco spiegata l’escalation. Fu l’apice della sua carriera criminale e delle rapine con battuta in milanese. Un bottino, dice la leggenda, di trenta miliardi di lire in pochi anni. E siamo alla metà dei Sessanta. La sua fama crebbe così tanto che i marsigliesi, in trasferta a Milano per la rapina di via Montenapoleone, lo contattarono (anche se lui ha sempre negato ogni coinvolgimento). Il colpo del secolo, urlò la stampa, e non fu un’esagerazione: da allora la criminalità perse il romanticismo di un tempo. Non a caso per Lutring tutto ciò coincise con l’inizio della fine: nel 65 scappò in Francia, dove venne quasi ammazzato dalla gendarmerie durante un assalto. Arrestato, si beccò 22 anni e ne scontò 12 (entrato in galera a 28, ne uscì a 40). In carcere si rifece una vita, cominciando una proficua corrispondenza con il presidente della camera Sandro Pertini, dedicandosi con profitto alla scrittura e alla pittura, fino ad essere graziato dal primo ministro francese Georges Pompidou e poi dal Presidente della Repubblica italiana Giovanni Leone. Rientrò a Milano nel 1977.
Rintocchi di campane a morto a Milano Ovest, abbiamo detto. Sono le stesse che si sentono all’inizio di Svegliati e uccidi, il film con Gian Maria Volonté che Carlo Lizzani dedicò a Luciano Lutring nel 1966, anno in cui il ‘solista del crimine’ è considerato il pericolo pubblico numero uno di Italia e Francia. La sua, però, non è solo una storia di malavita e criminalità, motivo per cui la si può considerare unica nel suo genere. Oltralpe, infatti, pubblicò una autobiografia, dalla quale fu tratto un film con Alain Delon. Rientrato in Italia, scrisse libri per Longanesi (Il solista del mitra, L’assassino non sciopera) e per Acar (Una storia da dimenticare, L’amore che uccide). I suoi quadri vennero esposti in numerose mostre, ricevendo elogi e premi.