Certo assieme, fra l’altro, ad un’opinabile strategia imprenditoriale e finanziaria, a promesse di investimenti in Italia non mantenuti, ad una discutile gestione dei rapporti di lavoro, alla limitatezza di risorse in ricerca, sviluppo e appunto progetto, tutti aspetti questi ultimi che hanno a che fare con i buoni prodotti. Probabilmente anche alla luce di tutto ciò è in perdita costante, di frequente in doppia cifra.
La crisi sicuramente difficilissima del mercato non registra però per tutti gli stessi passivi, basti pensare al gruppo Audi-Volkwagen che ha operato scelte strategiche e imprenditoriali differenti. A cominciare dal ruolo del design, condotto dall’italiano Walter De Silva (quello dell’Alfa 156), di recente ulteriormente valorizzato con l’acquisizione della torinese Italdesign di Giorgio Giugiaro, uno dei maggiori car designer del mondo, autore fra l’altro di Punto (del 1993 è il primo modello), in pratica una delle ultime Fiat di successo e riuscito progetto, non a caso ancora in produzione. Solo per fare ancora un esempio, Audi di recente ha “fatto comunicazione” annunciando la sua prossima strategia: nel 2018 sarà il gruppo automobilistico più “sostenibile” al mondo.
Se si guarda ai prodotti Fiat emergono direzioni discordanti: si mischiano Freemont, un muscoloso fuoristrada all’americana; la 500, operazione di “design della memoria” o retrodesign – una tendenza contemporanea condivisa da altri produttori, rassicurante in tempi tormentati ma di corto respiro –, derivata e continuamente alimentata da logiche di marketing, con numerose varianti e versioni più o meno attrattive, come ad esempio la recente poco originale 500L; e ancora altri modelli non propriamente memorabili, come Panda o Qubo. Ed ora, dulcis in fundo, la “nuova” Linea, una berlina modesta nel disegno e nella concezione, che aggiorna quella del 2007. Ormai non basta più sostenere che è solo un restyling o che si tratta una world car – non diversamente dalla stessa Fiat divenuta world company – per i mercati emergenti su cui si combatte solo con il low price; fare bene non è necessariamente più costoso, se le cose sono appropriatamente pensate, organizzate e progettate. La questione (e il discorso analogo vale in parte per la recente Viaggio) non è se sia bella o brutta, piaccia o non piaccia; come diverse vetture Fiat pare “sbagliata”. Rispetto alla condizione attuale del mercato, ad un’ipotesi di identità, strategia e riconoscibilità dell’azienda, agli orientamenti di ricerca e sviluppo del car design. C’è crisi e non si trovano i soldi per ricerca e progetto; ma poi ricordi all’investimento in campagne pubblicitarie televisive non indimenticabili e della cui utilità e validità par giusto dubitare, visti anche gli esiti di mercato.
Il tema più generale resta, in un momento di radicale trasformazione delle condizioni economiche, sociali, tecnologiche e di mercato, che impresa si vuol essere, cosa che raccontano innanzitutto i propri prodotti e servizi. Nessuno nutre dubbi che gli oggetti Apple design driven innovation siano specchio e immagine dell’azienda e ne “parlano” bene, oltre ad averla fatta diventare in pochi decenni una fra le maggiori capitalizzate al mondo; i prodotti Fiat “dicono” di Fiat. La nuova Linea, ad esempio, appare datata, forse anche per i paesi emergenti; non comunica un’identità di brand, un family feeling, un’idea innovativa e contemporanea. A meno che – riprendendo lo spunto ironico di Crozza su Marchionne e le sue lamentele – non si tratti anche in questo caso dell’ennesimo scherzo del sindacalista della Fiom, Landini.