Capita di aver dimenticato la rata, o perso la bolletta o essere al verde, anzi al rosso, se chiama la banca. Periodo nero, conseguenza della crisi, con le ormai normali insicurezza e precarietà, si dirà. Ma a ben guardare, le conseguenze non son più soltanto di ordine materiale. Sta accadendo qualcosa di grave: la trasformazione del debitore in un peccatore, un colpevole che, se non può pagare, deve espiare. Tecniche di persuasione e vessazione trasformano i debitori in colpevoli penitenti. Menti raffinatissime lavorano per radiografare, blandire, intimorire, minacciare l’incauto debitore. Le pene sono irrogate con progressiva afflizione.

I primi gendarmi dei creditori sono i cosiddetti Agenti per la Tutela del Credito, esattori delle società di riscossione parenti prossimi e queruli degli ufficiali giudiziari. Essi suppliscono alla mancanza di titoli legali con le armi del telefono e della parola a raffica, quando va bene. Ci sono società serie e professionali e purtroppo ci sono i fantasisti, gli inventori di “ingiunzioni di pagamento” totalmente false, che inducono a scambiare l’innocuo sollecito per titolo esecutivo; ne conservo gelosamente uno esilarante ricevuto da un cliente terrorizzato. I cacciatori di frodo hanno disseminato varie altre tagliole che mordono in maniera più o meno lecita il tallone del malcapitato debitore.

I moderni inquisitori, maldestramente addestrati, sono di varia tipologia e umanità. Può capitare in sorte l’esattore comprensivo e paterno, il tipo autoritario e sgarbato o la iena isterica e sgarbata e, massima iattura, la tipa “goccia che scava la roccia”. Non c’è scampo: Vergognati e confessa quando, dove, come pagherai. E’ un parossistico interrogatorio che prelude ai flagelli e tormenti di cupe giornate.

Gli esattori, si definiscono elegantemente Agenti della tutela del credito, invece che – con più realistica definizione – agenti della esazione del debito, dovrebbero avere adeguata professionalità, ma il proliferare del business del recupero crediti ha moltiplicato i ranghi delle società addette (circa 15.000 addetti e 38 miliardi di euro all’anno di recupero crediti, l’80% dei quali riguardano utenze domestiche, mutui e prestiti non onorati) non tutte aduse al guanto di velluto.

Tanti gli abusi denunciati: la minaccia o molestia, la propalazione di notizie riservate al coniuge, partner, familiare o ad altra persona legata al debitore, inclusi i minori. Il linguaggio si involgarisce oltre i limiti dell’osceno, razzista o degradante la persona. I contatti si moltiplicano, con frequenza superiore al dovuto o in orari irragionevoli. Si arriva ai casi limite della violazione di domicilio e della coazione fisica. In rete c’è una sterminata casistica. Questa nuova inquisizione o coazione psicologica di massa dovrebbe avere dei limiti.

Il codice deontologico delle imprese che si occupano del recupero crediti Unirec, prevede e punisce determinati comportamenti. Il Garante per la Protezione dei Dati Personali prescrive liceità, correttezza, pertinenza nell’ambito dell’esazione dei crediti. Per i casi estremi c’è sempre la classica denuncia per reati di varia gravità, che arrivano all’estorsione.

Il peggior creditore è però lo Stato. In Grecia minacciano di sbattere in galera i debitori. La chiamano legge anti evasione, ma è solo l’avvitarsi di una spirale ulteriormente vessatoria per chi ha debiti conclamati, esattamente come accade da noi. Si dovrebbe poter pagare, se non con serenità, almeno con dignità.

Insomma, una nuova schiavitù sembra alle porte. La crisi ci priva di diritti garanzie e umanità e con essi, stanno svanendo i Lumi della Ragione.

Bisogna punire il fallito, o il debitore doloso, ma prima di punirlo bisogna, che costi del dolo, ed il dolo non si presume, ma conviene provarlo. Allora non si punisce il debitore comme debitore, ma come delinquente; poichè essendo il dolo un resultato di un detto, o di un fatto non rispondente al vero, perchè diretto ad ingannare; colui che se ne prevale è un uomo pericoloso alla società, ed è simile a chi ruba. All’incontro poi, chi fa un debito civile deve esser sicuro nella persona, e non deve permettersi che si faccia servo di pena a piacere di un particolare.” Cosimo Amidei: “Discorso filosofico-politico sopra la carcere de’ debitori, 1770”.

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