Mentre il mondo è in crisi, e sempre più numerosi sono i diseredati che ne fanno le spese, c’è una categoria che la crisi non la sente proprio: sono i funzionari Onu, soprattutto quelli in forza presso le comode sedi di New York, Ginevra o Vienna, lontano dalle difficoltà e dai rischi che affrontano i loro meno privilegiati colleghi sul campo, dove ogni anno sono centinaia a dare la vita per le Nazioni Unite.

Senza spingerci fino ai piani alti dell’Organizzazione, limitiamoci a considerare la situazione di un funzionario intermedio (grado “P4”) nella confortevole e protettiva Ginevra: avrà per prima cosa diritto ad uno stipendio annuale netto di base che potrà arrivare, secondo anzianità e situazione familiare, fino a 94.540 Usd.

A questo si aggiunga il cosiddetto “post adjustment” (“aggiustamento salariale”), cioè la percentuale dello stipendio netto di base pagata in aggiunta ad esso, calcolata, attraverso parametri piuttosto opinabili, in base al costo della vita nel luogo in cui si presta servizio. Se per esempio in un posto duro come Tripoli, tale percentuale è “solo” del 36.2%, e a Roma è del 63%, a Ginevra essa raggiunge il 104,1%. In tal modo, lo stipendio fa un po’ più che raddoppiare, arrivando alla rispettabile cifra (netta ed esentasse) di 192.956,14 Usd (circa 12.400 euro al mese).

A questo si aggiunga una nutrita serie di benefits che accrescono il costo lordo (per i contribuenti) del posto in questione, e che comprendono (sperando di non dimenticare nulla): polizza salute (che copre anche l’80% delle spese dentistiche) per tutta la famiglia; polizza vita; contributi pensionistici; sussidio per gli studi di ciascuno dei figli fino a 25 anni (fino al 75% delle spese sostenute); senza scordare le indennità di trasloco, il pagamento di viaggi per facilitare le ferie nel paese di origine, 30 giorni all’anno di vacanze più ovviamente sabati, domeniche e feste comandate (all’Onu si celebrano tutte quelle delle principali religioni mondiali: quando si dice lo spirito ecumenico!); senza dimenticare le esenzioni fiscali ed infine i privilegi e le immunità previsti dalla Convenzione di New York del 1946.

Ora, direte voi, per ottenere uno di questi bei posti bisognerà certamente essere non solo individui motivati da altissimi ideali, ma anche professionisti altamente qualificati, i migliori sulla piazza. Ebbene non necessariamente, o almeno non sempre! Talvolta, sembrerebbe, può bastare di essere gli amici di amici seduti sulle poltrone giuste. C’è un esempio, non certo unico nel suo genere, ma molto significativo per le sue dimensioni ed implicazioni: l’attribuzione illegale, nel 2006, da parte dell’Ufficio dei Diritti Umani dell’Onu, di 132 posti fissi a persone sulla cui effettiva qualificazione è lecito nutrire dubbi: perché altrimenti assumerle al di fuori delle apposite regole?

Ora, il fatto che un ristretto gruppo di burocrati possa assumere illegalmente, a vita, a spese dei contribuenti, ben 132 individui in una sola volta, e che tutta una serie di meccanismi interni di controllo (demandati ad un altrettanto ristretto insieme di funzionari) invece di controllare, ignori ed insabbi tutto, persino dopo una decisione definitiva del Tribunale amministrativo dell’Onu, permette di capire almeno una delle ragioni per cui l’Onu non funziona: e cioè che nell’apparato dell’Onu insieme alle persone oneste e rispettose della legalità ce ne sono altre non altrettanto attente a questi valori o, quanto meno, che a fianco delle persone motivate e capaci ci sono davvero troppi indolenti e incompetenti.

L’8 maggio scorso, come promesso, ho dunque trasmesso alla Alta Commissaria dei Diritti Umani le domande poste dai lettori in merito a questo caso: quanto ci è costato esattamente, dal 2006 ad oggi, mantenere con tali salari e prebende questi 132 tizi assunti illegalmente? Per favorire quali interessi sono stati assunti? Di che paesi sono? Sono per caso parenti, mariti o mogli, amici o amanti di altri funzionari Onu (due stipendi essendo meglio di uno)? E per qual motivo un Ufficio Onu ignora una decisione di giustizia del suo stesso Tribunale? E a che servono i meccanismi di controllo se non controllano un bel niente? E infine, che azioni conta di intraprendere l’Alta Commissaria per ristabilire una volta per tutte la legalità calpestata senza ritegno da oltre sette anni?

Purtroppo, come non aveva mai risposto in precedenza a me, l’Alta Commissaria non ha fino a oggi ritenuto necessario rispondere neppure a voi. Ciò facendo, ci ha dato l’ennesima conferma del fatto che good governance, trasparenza e responsabilità di fronte ai cittadini sono solo parole che si dicono tanto per fare contenti i poveri ingenui, e che l’Ufficio per i Diritti Umani dell’Onu non serve a proteggere i diritti di tutti, ma solo i privilegi di pochi, magari anche incompetenti.

Girerò ora le stesse domande, e le altre che eventualmente i lettori considereranno opportuno porre, al ministro degli Esteri Bonino e ai Presidenti del Senato Grasso e della Camera Boldrini, e richiederò il loro intervento contro questa ennesima “strage di legalità”. Perché in fin dei conti l’Italia, pur in tempi di crisi, resta comunque il sesto finanziatore mondiale delle Nazioni Unite. Ha dunque tutto l’interesse che l’Onu rispetti le regole che si è essa stessa date, non butti i soldi dalla finestra, e funzioni per davvero.

Perché, ripeto, questo non è un caso isolato. E basta dare un’occhiata al sito dell’organizzazione UNJustice per capirlo.

 
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