L’arrivo a Sigonella degli Osprey, quelle strane macchine volanti che non sono né aerei, né elicotteri, ha suscitato giustamente emozione e un po’ di sconcerto. Sono un pessimo segnale di quello che si sta preparando alle porte di casa nostra, in Libia certamente ma anche altrove in quel calderone ribollente che è oggi il nord Africa.
Con gli Osprey del Marine Medium Tiltrotor Squadron 365 sono arrivati anche alcuni Marine del Special-Purpose Marine Air-Ground Task Force, Crisis Response (SP-MAGTF CR). Un’unità trasferitasi all’inizio di aprile dagli Usa alla base aerea spagnola di Moron de la Frontera per servire da unità di intervento immediato per l’Africa Command statunitense.
La parola chiave che spiega i compiti di questa unità è Crisis Response. In pratica un reparto di pronto impiego da spedire dove ve ne fosse bisogno con un preavviso minimo. Lo spostamento dalla base spagnola a quella siciliana è un segnale indiscutibile che Washington si attende a breve un’esplosione di violenza nella vicina Libia, tale da dover richiedere un intervento muscoloso, in una prima fase probabilmente per una cosiddetta NEO (Non-combatant Evacuation Operation) per poter procedere all’evacuazione di civili dal Paese. Poi, non si sa.
L’area sta diventando un focolaio che rischia di incendiare tutta la sponda sud del Mediterraneo. Il Mali è lì a due passi, al-Qaida del Maghreb Islamico è attiva e forte in tutta la zona, e la frantumazione della Libia dopo i bombardamenti “salvifici” di due anni fa sta provocando una situazione di totale ingovernabilità.
Un Iraq alle porte di casa. Questa sta diventando la Libia dopo la “vittoriosa” guerra cominciata due anni fa, che davamo per “vinta” (ma da chi?) e che solo oggi sta mostrando il suo vero volto. D’altronde anche i lunghi anni della campagna irachena cominciarono così: con l’annuncio della vittoria da parte di Bush figlio dalla coperta della portaerei Abraham Lincoln. Mission accomplished. Era il primo maggio 2003. Quando gli americani si ritirarono, otto anni dopo, avevano lasciato sul terreno più di 4 mila morti, oltre 32 mila feriti, senza contare le vittime civili che nessuno sa quante siano davvero, certamente più di centomila, forse duecento. E i morti italiani, inglesi, i contractors. Mission accomplished.
C’è stata parecchia confusione in questi giorni sull’entità della dei militari dello US Marine Corps basati a Sigonella e sulla loro missione. Perché in effetti a Sigonella è di stanza da tempo una SP-MAGTF 13 composta da circa 180 uomini. Si tratta di un’unità composita, non permanente, che viene costituita di volta in volta con personale dei Marine appartenenti alla riserva. Quella attuale è diventata operativa nella base siciliana il 10 gennaio 2013 (il numero della denominazione indica l’anno di attivazione, ci sono state anche una SP-MAGTF 11, una 12.1, una 12.2, eccetera). La sua missione non è però di pronto intervento ma ha compiti di addestramento e cooperazione con le forze armate di vari Paesi africani. È stata recentemente in Burundi, Ghana, Senegal, e altrove.
Tutta un’altra storia quella della SP-MAGTF CR, che a dispetto del nome quasi identico è un’unità combattente destinata a compiere azioni offensive in situazioni di conflitto anche ad alta intensità. Crisis response, pronto intervento. Secondo fonti di stampa questa unità è stata schierata in Moron de la Frontera all’inizio di aprile sulla base di un’autorizzazione di un anno concessa dal Governo spagnolo. I nuovi marines di Sigonella non sono cinquecento, come è stato scritto (cinquecento sono quelli schierati a Moron), ma un paio di centinaia. Ma non è il numero il dato significativo: piuttosto, da chi e quando sono stati autorizzati?
Perché nulla si sa su chi abbia autorizzato, per quanto tempo e con quali limitazioni il successivo rischieramento in Sicilia dei Marine. È chiaro che la mossa prelude a un impiego operativo a breve termine. Se ne è discusso quando il segretario di Stato Kerry è venuto a Roma? Il ministro degli Esteri Emma Bonino parla di accordi. Ma di quando? Di chi? Sono stati firmati dei protocolli? In base agli accordi in vigore la base di Sigonella può essere usata di norma per attività addestrative delle forze Usa e ogni attività operativa deve essere oggetto di un accordo specifico. A giudicare dall’imbarazzo con cui il governo italiano ha reagito alla diffusione delle notizie sulla task-force statunitense, sembra piuttosto che sia stato messo di fronte al fatto compiuto o quasi. D’altronde, l’accondiscendenza (il servilismo?) dei nostri vertici politici e militari verso lo Zio Sam è ben nota. Non fu Di Paola che nel 2005, poco prima delle elezioni che avrebbero portato per poco Romano Prodi al governo, a dire durante un incontro con i diplomatici americani che per avere le mani libere bisognava fare in fretta il nuovo accordo sulla base siciliana prima che arrivasse un governo di centrosinistra?