Nella cittadina in provincia di Napoli, Jessica Provisiero aspirava a diventare consigliere a supporto del papabile sindaco Nicola Marrone, giudice del Tribunale di Torre Annunziata. Ma poi si scopre che è imparentata con il capostipite della cosca Vollaro e viene fatta ritirare dalla campagna elettorale
Può la nipote del boss di camorra candidarsi in una lista che sostiene come candidato sindaco un magistrato? Questioni di opportunità. Meglio farla ritirare. Anche se fuori tempo massimo. Accade a Portici, al confine con Napoli, 55mila residenti in meno di 5 chilometri quadrati, la città di Noemi Letizia, che chiamava Berlusconi ‘Papi’ e che ormai non si vede da un po’. Non solo. E’ anche la città ancora a lutto per i quattro morti causati dal crollo di un balcone durante la processione di San Ciro.
Il pasticcio è servito a campagna elettorale aperta. Si viene a sapere che l’Udc, una delle nove liste a sostegno di Nicola Marrone, giudice del Tribunale di Torre Annunziata, già Gip del Tribunale di Vallo della Lucania (Salerno), brevi trascorsi da assessore a Portici in una giunta di centrosinistra, alla guida di un variegato schieramento da Sel a Idv, dai Verdi al Psi e a qualche formazione civica (insomma, un centrosinistra avversario del Pd) ha candidato al consiglio comunale la 22enne Jessica Provisiero. Ragazza dalla faccia pulita e dalla parentela ingombrante: suo nonno è Luigi Vollaro, ‘il califfo’. Il capo dei capi a Portici. L’uomo che ha dato il nome al clan. Jessica non è ancora nata quando il nonno è già in carcere – e non ne è mai uscito da allora – ha la fedina penale intonsa e la voglia di fare politica. E come si scopre questa parentela? Grazie a una segnalazione del sindaco uscente, il senatore Pd Vincenzo Cuomo, che nel corso di un convegno ne dipinge l’identikit senza farne il nome: “Io mai e poi mai potrei immaginare di mettere una nipote del ‘califfo’ in una lista”. Una dritta poi ripresa e ampliata dal sito del Corriere del Mezzogiorno e dall’inviata di Repubblica Napoli, Conchita Sannino.
Marrone non sapeva. Possibile che nessuno dei suoi se ne fosse accorto prima? Nello staff del giudice-candidato non c’è tempo per cercare una risposta, bisogna decidere subito che fare per ridurre i danni d’immagine. In poche ore si chiede e si ottiene la disponibilità della ragazza a ritirare la propria candidatura. E ci si rassegna, con cortesia e disponibilità, alle curiosità dei cronisti affamati dei dettagli di questa singolare vicenda. Nel Palazzo Giampaglia, dove dai locali semi diroccati e in disuso di un ex liceo è stato ricavato il comitato elettorale, e dove fa bella mostra di sé il cartellone dei finanziatori della campagna (nomi e cognomi a sinistra, la cifra a destra, per un totale di circa 2600 euro), Marrone accende una sigaretta e pondera le parole con attenzione: “Quando non si hanno argomenti su proposte e progetti si cerca la delegittimazione dell’avversario. Dispiace che questo metodo di delegittimazione strumentale provenga da chi in passato ne è stato anche lui vittima”.
Marrone si riferisce alle vecchie allusioni sulle affinità di Cuomo, sposato con la sorella di una nuora del boss Michele Zaza. Era a Cuomo, e all’ex imputata di calunnia poi assolta Rosaria Capacchione, che il coordinatore campano del Pdl Francesco Nitto Palma si riferiva (anche in quel caso, senza farne in nomi) quando i cronisti lo stuzzicavano sugli inquisiti e i collusi candidati alle elezioni politiche in Campania, e l’ex ministro alla Giustizia svicolava ‘contrattaccando’ su parentele e indagini in casa Pd. In questo gioco incrociato di veleni tra Portici e Roma, va spiegato anche che negli otto anni in cui è stato sindaco, Cuomo ha fatto abbattere una palazzina abusiva dei Vollaro, ha disposto la confisca dell’area di sedime del fabbricato, e ha firmato un’ordinanza di sanzione ai commercianti che in segno di ‘rispetto’ chiusero i loro negozi il giorno dei funerali di Giuseppina Giampaglia, la moglie del ‘califfo’.
Basta e avanza per ribadire che il tema della guerra alla camorra è centrale nell’agenda politica di Portici. E che la nipote di un boss in squadra con un magistrato fa notizia due volte. “E’ stato un atto di grave leggerezza” ammette Marrone. “Ma l’abbiamo fatta ritirare, non farà campagna elettorale” aggiunge tirando fuori dalla giacca una sentenza del Consiglio di Stato del 1998 che in qualche modo dà un valore giuridico a questo atto. Anche se è consapevole che il nome di Jessica resterà affisso nei seggi e probabilmente otterrà pure qualche voto. Resta la domanda: una ragazza incensurata deve portare a vita il marchio del nonno camorrista oppure può sperare di costruirsi una vita libera dalle proprie parentele, magari provando a diventare consigliere comunale? “La ragazza – risponde Marrone – voleva candidarsi anche per questo: esercitare il suo giusto diritto di riscatto dalla condizione di nipote del boss. Però l’approccio doveva essere completamente diverso: io dovevo esserne informato, lei avrebbe dovuto dire subito di chi era nipote e fare una dichiarazione di estraneità e di lotta alla camorra, che avrebbe dato un senso del tutto differente alla sua candidatura. Non dovevamo scoprire tutto così”.