L'Amazzone furiosa, autrice di un popolare blog, ammalatasi a 30 anni, in polemica con "la sbandierata favola della diagnosi precoce" chiede: "Cosa devono fare le donne che non hanno rischi genetici? Forse dovremmo tutte farci amputare il seno in via preventiva?"
“Angelina Jolie ha fatto la sua legittima scelta personale. Io vorrei che raccogliesse l’appello di ‘Breast cancer action’ che le chiede di opporsi al brevetto dei geni Brca1 e Brca2, che favoriscono il tumore al seno, esclusiva della ‘Myriad genetics’. A causa delle royalty da versare a questa azienda, infatti, il test costa più di tremila dollari e resta inaccessibile per molte donne che non se lo possono permettere”. Così l’Amazzone furiosa, autrice di un popolare blog, tra le prime ad importare in Italia il movimento di opinione che da anni esiste negli Stati Uniti contro le cause ambientali e le speculazioni sul cancro al seno, commenta la scelta dell’attrice e regista americana di farsi asportare entrambi i seni “perché portatrice di un gene difettoso”, come da lei stessa scritto sul New York Times. “L’associazione ‘Breast cancer action’ ha manifestato davanti alla Corte suprema e ha un processo in corso contro la ‘Myriad genetics’ che non solo obbliga qualsiasi laboratorio a pagare cifre spropositate per le analisi ma impedisce ad altri scienziati di continuare la ricerca visto che i geni Brca1 e Brac2 non possono essere studiati senza infrangere il brevetto”.
La battaglia contro la Myriad genetics non è che una delle tante da affrontare quando si parla di cancro al seno. “Il problema principale – dice l’Amazzone che si è ammalata di tumore a 30 anni, senza avere alcun tipo di ereditarietà o mutazione genetica – resta la questione delle cure. La scelta di Angelina Jolie ci mette davanti a una tremenda verità: il cancro al seno continua a essere una malattia che fa paura e molte donne preferiscono farsi asportare il seno piuttosto che rischiare di ammalarsi. Vorrei ricordare in Italia ogni anno il tumore del seno colpisce 31mila donne e causa 11mila decessi. Ma che cosa devono fare le donne che non hanno rischi genetici, che sono la grande maggioranza, o quelle che ce li hanno bassi? Forse dovremmo tutte farci amputare il seno in via preventiva? Non mi sembra una soluzione. Quel che ci dice la storia degli Jolie, è che non è vero, come dicono certi oncologi, che ormai il tumore al seno è come il raffreddore. E’ una malattia terribile, che terrorizza chi non ce l’ha e segna per sempre chi l’ha avuta. Per questo servono cure e prevenzione vera”.
L’Amazzone si scaglia contro la “tanto sbandierata favola della diagnosi precoce”. “E’ giusto fare i controlli preventivi, per carità – dice – ma non possiamo credere a quello che ha detto Umberto Veronesi in questi giorni e cioè che con una diagnosi molto precoce le possibilità di guarigione sono del 98 per cento (articolo di Elisabetta Ambrosi). Si continua a sostenere che la dimensione del tumore sia il più importante fattore prognostico, ma ci sono tumori piccoli, molto aggressivi che si espandono rapidamente e non rispondono ai trattamenti oggi a disposizione. Poi ci sono tumori più grossi alla diagnosi, ma che non si espandono. L’ha spiegato molto bene Peggy Orenstein, attivista e giornalista, in un articolo uscito di recente sul New York Times”.
Altra questione che si dovrebbe mettere in luce quando si parla di cancro al seno è il business che ci è stato costruito attorno. Travestendo di rosa campagne di raccolta fondi, si pubblicizzano prodotti e iniziative che non si sa bene che benefici portino alla ricerca e che molte donne trovano avvilenti. “Ricordo che mia sorella, subito dopo che mi sono ammalata, è andata alla ‘Race for the cure‘ di Napoli, la corsa ‘benefica’ per le malate. E’ tornata indietro con un sacchetto con shampoo, bagnoschiuma e un pacco di assorbenti. Peccato che molte delle donne che hanno avuto un cancro non abbiano più le mestruazioni a causa dei trattamenti ormonali o per effetto permanente della chemioterapia. L’anno scorso uno dei principali sponsor della ‘Race for the cure’ era il Mocio Vileda rosa, quest’anno invece è il detersivo Perlana che ha lanciato una grossa campagna pubblicitaria anche su Facebook – conclude l’Amazzone, che dalle pagine del suo blog ha fortemente criticato l’iniziativa) – Diceva Barbara Brenner, attivista e presidentessa per 15 anni di ‘Breast cancer action’, purtroppo scomparsa qualche giorno fa: se fare shopping servisse davvero a qualcosa, il cancro al seno sarebbe già stato sconfitto da un pezzo”.