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Beni ‘comuni’ svenduti per far cassa: io denuncio

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La campagna sui “beni comuni” ha, giustamente, grande presa sulla pubblica opinione, alimentando una generosa mobilitazione capillare e pressoché permanente. Nel nostro paese, infatti, si è contrabbandata la svendita del patrimonio pubblico, spesso preziosa perché collegata a rendite monopolistiche garantite, con atti di liberalizzazione e di privatizzazione.

Utili, queste ultime, purché servano: a) a creare concorrenza, contenendo le tariffe; b) a sviluppare i servizi  in un regime di efficienza; c) purché vi sia la programmazione e il controllo effettivi dei servizi pubblici nelle mani delle amministrazioni. In genere, non si dà alcuna di queste condizioni: si svende per fare cassa, e buonanotte. Un eroe dei “beni comuni”,oggi, sarebbe nientemeno che Giovanni Giolitti, liberale, autore della provvida legge n. 103 del 1903 sulla “municipalizzazione dei pubblici servizi”. Giolitti era convinto che alcuni beni e servizi andassero sottratti all’economia di mercato per favorire lo sviluppo delle realtà urbane, onde affrettarne la modernizzazione.

Altri tempi. Ma veniamo a noi. Gli enti locali della provincia di Forlì-Cesena hanno mantenuto le reti (gas e idrico integrato) in mano pubblica: lo hanno fatto, conferendoli ad una società integralmente nello loro mani (Unica Reti S.p.A.). L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, con delibera della fine del 2012, ha stabilito che i valori patrimoniali delle immobilizzazioni (reti e impianti), al fine di un riconoscimento in tariffa per i canoni d’uso, siano dimostrati attraverso la ricostruzione storica su base documentale. Ma si tratta di investimenti effettuati anni e anni fa dalle preesistenti municipalizzate, di cui è pressoché impossibile ridefinire con sicurezza il profilo sulla base di testimonianze inoppugnabili.

La società pubblica obietta che le carte sarebbero disperse negli archivi comunali e che, comunque, la norma prescrive che la documentazione fiscale, dopo 10 anni, possa essere scartata e distrutta. Obietta, inoltre, e ciò è ben più dirimente, che al proprietario che sia anche gestore è data la possibilità di provare il valore dei cespiti immobilizzati in base al più vecchio libro contabile disponibile. Il che agevolerebbe di gran lunga le ricerche.

Perché questa disparità di trattamento? Semplice. Nel nostro paese, al governo (di destra o di centro-sinistra che sia) le società pubbliche delle reti evidentemente non piacciono: e con una delibera simile, molto ideologica, nonostante l’apparente asetticità dell’Autorità che l’ha emanata, s’intende spingere in maniera indiretta alla cessione delle reti (pubbliche) al gestore, di norma privato o privato/pubblico, a seconda della pelliccia che intende indossare. Ma non c’erano i “beni comuni” da preservare? Non li difende, forse, il Pd nelle piazze? La mia sensazione è che, nel chiuso di alcuni influenti CdA, i comportamenti dei rappresentanti “democratici” siano molto diversi. E per questo, coerentemente con quello che sento, all’unisono con i miei concittadini, li denuncio.

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