Due binomi inglesi in forte ascesa, cui piace sperimentare con gusto e raffinatezza, aprono emblematicamente l'edizione 2013 di un festival che anno dopo anno è sempre più sinonimo di trasversalità e ricercatezza nelle scelte artistiche
In vista del loro arrivo in terra emiliana, abbiamo ascoltato in anteprima il nuovo album dei Mount Kimbie, Cold Spring Fault Less Youth: a differenza dell’esordio Crooks & Lovers, pubblicato tre anni or sono dalla Hotflush di Scuba, il nuovo lavoro uscirà il 27 maggio su Warp, la prestigiosa label di Sheffield, la casa discografica cui ogni artista d’area elettronica sogna di approdare dal momento stesso in cui inizia a produrre. Impressioni: ci troviamo al cospetto di un soul elettronico da terzo millennio (Blood and Form) con un sostrato post-punk e dream pop à la 4AD che conduce dritto dritto al post-rock tenuamente emotivo ed ambientale degli Hood (ascoltate So Many Times So Many Ways o la splendida Home Recording) ancor prima che all’IDM di casa Warp. Del resto, che gli stessi Hood flirtassero con l’elettronica non convenzionale è testimoniato dal fatto che un paio dei loro dischi siano stati prodotti da Matt Elliott aka Third Eye Foundation e che ad una magnifica ibridazione come Cold House (2001) abbiano partecipato due terzi dei cLOUDDEAD ovvero Dose One e Why. Ecco, nemmeno certe cose di Bibio, altro produttore di casa Warp, sono troppo distanti da queste sensibilità così delicate…
Tuttavia i Mount Kimbie hanno uno stile proprio ed ormai identificabile perché di mezzo c’è stata una cosa chiamata dubstep, soprattutto le sue propaggini e sperimentazioni successive tuttora in fieri, ed è proprio da quello stesso humus che escono le maschere di SBTRKT o muovono i primi passi l’amico James Blake e mille altri giovanissimi e ancor brufolosi produttori inglesi che daranno una bella rinfrescata all’ambiente come, ne cito uno per tutti, Rustie. Maybes (2009), il primo EP del duo composto da Dom Maker e Kai Campos è assolutamente rappresentativo, da questo punto di vista, di quella generazione ed il loro album d’esordio uscito l’anno successivo ancor di più. Eppure la loro attitudine ad affrontare il live come una band vera e propria, strumentazione inclusa, era apparso chiaro sin dalla loro prima apparizione al Node Festival tre anni fa ed infatti il nuovo disco li colloca proprio in questa dimensione congeniale.
Ed ecco che di fronte al microfono i Nostri hanno la bella trovata di piazzare lo Zoo Kid, un ragazzino pel di carota con la voce da uomo che ci ha spezzato il cuore qualche anno fa sin dalle prime note del suo 7” d’esordio, Out Getting Ribs: la sorpresa è che King Krule, in You Took Your Time, canta quasi come un MC ragga nei panni di un crooner, con tanto di voce riverberata come nella tradizione dub sopra le calde note di un organo. Nel caso di Break Well è pura magia propiziatoria ed affiorante in climax che sfocia in un minuto di musica strumentale che da sola vale l’album e ne costituisce a mio avviso anche l’apice. Azzeccatissimo il singolo Made To Stray – una bella cassa dritta rotonda e rotolante con preziose e delicate declinazioni emotive color pastello – l’unico pezzo veramente immaginabile su un dancefloor, di quelli raffinati però: accostabile ad un Pantha Du Prince, ad esempio, ed il discorso vale anche per la surrettizia e sussurata Sullen Ground. I Mount Kimbie suonano venerdì 17 maggio alle 23.00 al Tube Club di Modena, in collaborazione con il Mattatoio. In apertura Pigro On Sofa ed in chiusura Mephia.
Diverso il discorso per i Demdike Stare: il duo composto dagli esperti Miles Whittaker e Sean Canty si è letteralmente imposto in questi ultimi anni in virtù di un’estetica raffinatissima ben rappresentata dalle copertine in bianco e nero della loro label, la Modern Love, e da una musica caleidoscopica ad alto tasso suggestivo ed immaginifico, quasi cinematografico, che ne è specchio fedele. Una musica affascinante e seducente dalla forte impronta ambient, industrial, dub, concreta, noise che ha letteralmente fatto scuola in questi anni: basti pensare che Sandwell District, Modern Love e Blackest Ever Black sono diventate etichette di assoluto riferimento per tutta una schiera di artisti che hanno forgiato nuovi immaginari fuligginosi ed avveniristici riplasmando l’incandescente materia industriale, talvolta negli alti forni della techno, talatra annegandola in un mare di dub e drones o altre volte ancora stilizzandola, riducendola all’osso in minacciose forme scheletriche o facendola stridere come una fresatrice. Nel caso dei Demdike Stare, ma anche nell’iconografia di un altro produttore di casa Modern Love come Andy Stott, è oltretutto presente l’elemento etnografico e tribale e a tal proposito basti per tutti il mirabile esempio dell’Hashashin Chant contenuto nel superbo Voices of Dust (2010): uno dei migliori album di una discografia di cui è obbligatorio recuperare come minimo anche la serie completa di Elemental, ripubblicata l’anno scorso in un’unica edizione comprendente tutti gli EP e brani ulteriori.
Attualmente i due sono alle prese con una serie di 12” di livello ancora una volta eccellente, denominata Testpressing, in cui danno sfogo a particolari voglie e derive ritmiche altrettanto feroci: per tutti basti ascoltare un capolavoro come Grows Without Bound, definito efficacemente sulla loro pagina come una sorta di poderoso mostro industrial noise a metà strada tra Mika Vainio dei Pan Sonic e Nate Young dei Wolf Eyes. Miles Whittaker, invece, ha appena pubblicato un album intitolato Faint Hearted nonché il nuovissimo splendido EP Unsecured: con il moniker Miles si muove su versanti più techno e ambient mantenendo la grana sonora e le nuances tanto care agli estimatori. Appuntamento imperdibile martedì 28 maggio, ore 21.30, al Teatro delle Passioni, in collaborazione con VIE Scena Contemporanea Festival.
All’edizione 2013 di Node, nel corso del mese di giugno, parteciperanno molti altri ottimi artisti: da Forest Swords a Murcof, da Vladislav Delay a Dèbruit fino a Shigeto. Ne parleremo a tempo debito.