L’ottimismo resiste a ogni dubbio come quei pesci gatto che in acqua spazzolano ogni cosa e affamano ogni competitore. Letto dalla parte di chi sfida i compagni a ritrovare la passione sopìta le idee perdute le battaglie da fare e le parole da ricordare, il pamphlet che Walter Veltroni manda oggi in libreria (“E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei”, Rizzoli) è un abecedario utile, un memo da tenere sulla scrivania.
Aprirlo e riaprirlo per ricordare le ragioni che fecero nascere il Pd e poi i motivi che hanno reso quella sigla deformata, decomposta, inutile. Procedendo all’inverso il libro raccoglie il plurimo fallimento di intere generazioni di dirigenti per le quali Veltroni è stato leader e anche, a suo modo, profeta. Oggi, lui scrive, è tempo di ripartire e trovare attraverso nuove parole la costruzione di un senso, di una rotta.
Veltroni affronta nell’introduzione, appena presa tra le dita la biro, ogni eventuale malanimo circa le sue intenzioni: non ha scritto il libro per ritornare in campo, non vuol rifare il segretario del Pd, non desidera promuovere un suo bel castello di potere. Deve scriverlo, purtroppo. E sembra non rendersi conto che questa sua necessità conferma l’aria irrespirabile che alimenta i polmoni di quel partito. Immortale malanimo, altro che comunità, una delle tre parole (le altre due: responsabilità e opportunità) che dovrebbero traghettare il Pd spiaggiato verso il mare aperto del riformismo.
Il riformista ci ricorda giustamente Veltroni, è colui che riduce il mondo dei diseguali, cambia gli assetti di potere, muta le parole in campo, debella le sclerosi della società, le mille caste su cui si edifica. Esatto, diciamo. Vorremmo esultare, ma poi viene in mente il gigantesco suicidio di queste settimane, le lunghe e inconsapevoli corse dello smacchiatore, cioè di Bersani, nocchiere senza bussola.
Ripensandoci chiediamo a Veltroni: era lui a partecipare alle finte riunioni delle direzioni nazionali dove si approvava, in silenzio, lo scellerato ingaggio? E lui, si proprio lui, aveva o no il dovere di alzarsi in piedi e parlare, proporre, contestare? Lui, D’Alema e tutti gli altri, compresi quei centouno che hanno fatto strage di lealtà. Veltroni dice chiaro: Bersani avrebbe dovuto rinunciare al mandato e indicare una personalità, tipo Emma Bonino, a costruire un governo largo, un naviglio sulla rotta del cambiamento.
Magari questa idea Veltroni l’ha confidata a qualche suo compagno, magari ha trascorso ore a tentare di correggere. Magari anche D’Alema, al quale il Nostro concede rispetto ma conferma ogni divergenza. E magari tutti gli altri suoi compagni. Ciò che si è visto, purtroppo, è che nessuno ha mosso un dito. Tutti hanno atteso che Bersani sbagliasse. Tutti, Walter.
il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2013