Ai confini dell’impero il tempo scorre più lentamente, gli oggetti non vengono “smaltiti” ma piuttosto “abbandonati” e, se qualche anima sensibile ci fa caso, si presenta la possibilità di non cedere al mondo usa-e-getta tanto caro alla nuova economia. Spesso si attribuisce al concetto di “patrimonio” di una comunità un valore strettamente connesso ad aspetti economici o comunque materiali e la memoria non rientra quasi mai entro questi parametri: eppure è proprio quella su cui poggia un altro concetto anche ambiguo e sfaccettato ma imprescindibile, cioè quello del “progresso”. Faccio queste mie elucubrazioni mentre mi aggiro tra le locomotive e le carrozze ospitate dal Museo Ferroviario di Lecce, in prossimità della stazione. Nel primo deposito si incontrano antiche motrici a carbone, vagoni massicci e pesanti come carri armati e macchinari per la gestione del traffico. Salgo sulla vettura blindata che era adibita al trasferimento dei detenuti: cabine lunghe e strette, W.C. angusti e minimali. L’atmosfera si è mantenuta cupa e pesante.
Nel settore all’aperto un altro vagone merci rosso, in ferro e legno, e alcuni mezzi per il trasporto degli operai rimandano a una gloriosa epopea ferroviaria in netto contrasto con l’attuale vergogna ferroviaria. Ricordo un altro emozionante cimitero dei treni a Uyuni, sull’irraggiungibile altopiano della Bolivia del sud: lì però i treni, antichissimi e arrugginiti, sono abbandonati a sé stessi e in parte sono affondati nella sabbia anzi, sembra quasi che escano dalla terra, come degli zombie pronti a rivendicare ancora una propria identità. Non sanno che a migliaia di chilometri di distanza una battaglia assurda sta assumendo dei toni e delle forme drammatici: mentre scrivo leggo del nuovo assalto a Chiomonte a un cantiere della Torino-Lione. Ritengo che la violenza sia fermamente e sempre da condannare, in questo caso a maggior ragione perché indebolisce le giuste e documentate motivazioni di chi si oppone al progetto dell’alta velocità in Val di Susa. Le posizioni sono sempre più rigide e purtroppo anche il governo si sente legittimato, probabilmente anche con ingenti spese, a porre sempre più l’accento sulle questioni della sicurezza e del principio di sovranità piuttosto che sulla bontà dell’operazione.
Eppure non c’è un politico che si soffermi con altrettanta convinzione sulla necessità di aumentare l’efficienza della rete ferroviaria nazionale, sulla sicurezza di linee e mezzi, sulla mala gestione delle risorse, sulla valorizzazione di un patrimonio – i treni e le linee storiche, ad esempio, come la mitica Cuneo-Ventimiglia a serio rischio di chiusura – che, se ben gestito, potrebbe generare profitto e lavoro piuttosto che perdita e abbandono.
In questo senso il Museo di Lecce è un formidabile concentrato di storia ma anche un laboratorio di come potrebbe evolvere il futuro delle gloriose ferrovie italiane. Magari non ad altissima velocità, ma almeno procedendo in avanti e non in retromarcia, come sta succedendo ora.