Il presidente della Repubblica è uno dei 179 testi che la Procura di Palermo ha depositato nella cancelleria della corte d’assise. La prima udienza sul patto sotterraneo siglato tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra è stata fissata per il prossimo 27 maggio a Palermo
Il capo dello Stato testimone nel primo processo in cui lo Stato processa se stesso. E’ la richiesta avanzata dai magistrati palermitani titolari dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. C’è anche il nome di Giorgio Napolitano nell’elenco dei 176 testimoni che il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia hanno depositato nella cancelleria della corte d’assise. Il processo sul patto sotterraneo siglato tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra prenderà il via il prossimo 27 maggio a Palermo. E l’accusa vuole che sul banco dei testimoni salga anche il capo dello Stato, recentemente riconfermato per la seconda volta al Quirinale. L’oggetto della testimonianza di Napolitano è legato ad uno scambio di lettere con il suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, deceduto nel luglio scorso. Quei documenti furono svelati per la prima volta nell’ottobre del 2012, quando vennero pubblicati nel volume Sulla giustizia, distribuito durante l’inaugurazione della scuola superiore della magistratura a Scandicci, alle porte di Firenze.
In quel volume era contenuta una lettera di D’Ambrosio a Napolitano del 18 giugno del 2012 e la successiva risposta del capo dello Stato. Era appena scoppiato il caso Mancino, l’ex ministro dell’Interno intercettato più volte mentre cercava l’appoggio di D’Ambrosio e del Quirinale per essere tutelato dall’inchiesta della procura di Palermo, in cui oggi è accusato di falsa testimonianza. Sono decine le telefonate intercettate tra Mancino e il consigliere giuridico del Colle. E a giugno D’Ambrosio decise quindi di scrivere al Quirinale per spiegare di non aver mai cercato di favorire l’ex ministro dell’Interno. Quella lettera ha colpito molto i pm palermitani, soprattutto nel passaggio in cui l’ex consigliere del Colle raccontava il suo timore per “essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. E’ su questo punto che i pm vogliono sentire Napolitano, dato che il timore di D’Ambrosio è riferito al periodo che va dal 1989 al 1993, gli stessi anni su cui si focalizza l’inchiesta palermitana.
I pm vorrebbero però ricostruire tutto il Romanzo Quirinale svelato nei mesi scorsi dalle intercettazioni telefoniche. Nell’elenco dei testi, infatti, è contenuto anche il nome del procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani. I magistrati vorrebbero che testimoniasse “in ordine alle richieste provenienti dall’imputato Nicola Mancino aventi ad oggetto l’andamento delle indagini sulla cosiddetta trattativa, l’eventuale avocazione delle stesse e/o il coordinamento investigativo delle Procure interessate”. A Ciani era anche destinata una lettera proveniente dal segretario generale della Presidenza della Repubblica. “Il Capo dello Stato – si legge nella lettera dell’aprile scorso – auspica che possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure (…) e ciò specie al fine di dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate”.
Una lettera che D’Ambrosio leggeva a Mancino al telefono: “Ho parlato sia con Ciccola (Pasquale Ciccolo, sostituto pg della Cassazione, ndr) che con Ciani hanno voluto la lettera così fatta per sentirsi più forti” commentava il consigliere giuridico del Colle. E infatti appena due settimane dopo, Ciani convocava l’allora procuratore antimafia Pietro Grasso. Anche l’attuale presidente del Senato e tra i testimoni richiesti dall’accusa dato che, spiegano i magistrati, “il dottor Grasso dovrà riferire in ordine alle richieste provenienti dall’odierno imputato Nicola Mancino aventi ad oggetto l’andamento delle indagini sulla trattativa, l’eventuale avocazione delle stesse e/o il coordinamento investigativo delle Procure interessate”. Il nome di Grasso viene citato più volte nelle conversazioni Mancino-D’Ambrosio. “Io ho visto Grasso in una cerimonia, stava davanti a me – racconta Mancino – Mi ha detto: ‘Quelli lì danno solo fastidio. Ma lei lo sa che noi non abbiamo poteri di avocazione ?E io gli ho detto: ‘Ma poteri di coordinamento possono essere sempre esercitati”. Qualche settimana dopo le bobine della Dia registreranno anche la prima delle quattro telefonate in cui oltre alla voce di Mancino rimane impigliata anche quella dello stesso Napolitano. Telefonate di cui non è mai stato svelato il contenuto e che sono state distrutte appena qualche settimana fa.