“Saper vedere l’architettura” insegnava l’architetto Bruno Zevi nel volume pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1948, accolto dalla critica mondiale con eccezionale favore e considerato il primo tentativo di promuovere un’educazione all’architettura valida per tutti, lezione poi archiviata dalla critica e dagli stessi architetti.
Chi evidentemente possiede ancora la capacità critica dello sguardo è lo storico dell’arte. E’ da questi infatti, che negli ultimi mesi sono arrivate le analisi più puntuali e aderenti alla realtà: Salvatore Settis sulla lanterna di Fuksas a Roma e Antonio Paolucci che, due giorni fa, in occasione della presentazione del volume “Chiese della periferia romana” edito da Electa, sulle nuove parrocchie costruite negli ultimi 20 anni a Roma afferma: ”Più che nuove chiese sembrano musei o grandi magazzini. Ambienti che non invitano alla meditazione, privi del senso del sacro e senza nessun afflato mistico-religioso“.
Come dargli torto? A partire dall’innovazione e dall’idea di “reinventare” lo spazio sacro, in un trionfo di formalismo spettacolare e gratuito, di bulimia volumetrica e autorefenziale, sono state costruite chiese cilindriche claustrofobiche come pozzi artesiani; a forma di cubo in cemento faccia vista, evocative come garage condominiali; a dischi sovrapposti come torte di compleanno; con fronti voltate e vetrate come centri commerciali anni ’90.
Chiese vittima della fiera-campionaria dell’elemento architettonico: colonne binate e lesene, cornici doppie e travi a vista coesistono e resistono in un’unica facciata; chiese “de-costruite” come colpite da un violento sisma; chiese pensate come un impianto di climatizzazione, con i sacri volumi a forma di condotta di distribuzione e bocchettone dell’aria.
Chiese trasparenti, bianche, levigate e luminose come produttivi edifici per uffici, dove non ci si può rifugiare nella penombra, ritrovare se stessi, piangere una persona cara. Chiese spoglie e spogliate dell’arte, del conforto della cultura iconografica scultorea e pittorica, della complessità della sequenza spaziale e dei luoghi della liturgia che ne facevano meta visitabile di praticanti e laici.
E’ la Curia, la prima vittima illustre dell’incarico diretto al sistema modaiolo ego-ipertrofico e un po’ cafone dell’archistar, che ha prodotto un catalogo vario e avariato del tipo Chiesa che – più che simboleggiare l’inizio del nuovo millennio -sembra segnare la fine della chiesa millenaria.