La riforma del finanziamento dei partiti di Alfano, Bersani e Casini, potrebbe rivelarsi un colpo di spugna. Se il tesoriere di un partito redige un bilancio falso potrebbe non rischiare la galera perché grazie a una norma invece del carcere si prevede una sanzione. I relatori della legge: "Nessuna depenalizzazione, la norma penale resta efficace"
La riforma del finanziamento dei partiti di Alfano, Bersani e Casini, potrebbe rivelarsi un colpo di spugna. Grazie a un codicillo infilato da una manina ignota che depenalizza le irregolarità dei bilanci dei partiti. Gli apprendisti stregoni avrebbero approvato – a loro insaputa – una sanatoria pensando di votare un giro di vite. Almeno se passasse l’interpretazione letterale della normativa di luglio.
A lanciare l’allarme è stato il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo durante un convegno organizzato il 3 maggio da L’Espresso: “A luglio dell’anno scorso è stata approvata norma poco chiara che potrebbe interpretarsi come un’abolizione proprio del reato di falso prospetto parlamentare, sostituito con una contravvenzione amministrativa punita con una semplice multa ma forse non è così”. Robledo, napoletano, 62 anni, coordina il pool dei reati contro la Pubblica Amministrazione della Procura di Milano e ha recentemente chiesto e ottenuto l’arresto di Francesco Belsito, il tesoriere della Lega. Proprio quell’inchiesta rischierebbe di saltare se prevalesse un’interpretazione ‘estrema’ della norma in questione: il comma 9 dell’articolo 19 della legge n. 96 del 2012. Molti deputati che l’hanno approvata non ne hanno capito nemmeno il significato. Vale la pena provare a decrittarlo. “Ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie (da applicarsi in caso di falsificazione del bilancio del partito, ndr) si applicano le disposizioni generali contenute nelle sezioni I e II della legge 24 novembre 1981, n. 689”. La cosa si complica. Cosa prevede l’articolo 9 della vecchia legge del ‘89? Che “quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale”. Tradotto: se il tesoriere di un partito come Belsito, redige un bilancio falso, potrebbe non rischiare la galera. Perché grazie a questa norma si applica la norma speciale (più blanda e più nuova) e non quella penale, generale e più dura.
Belsito, per esempio, è stato indagato per truffa aggravata diretta al conseguimento dei fondi pubblici perché i milioni di euro incassati dalla Lega, scriveva il Gip, “hanno avuto quale presupposto la validazione del rendiconto 2010 (da parte della Camera, Ndr) sul quale vi è la prova della falsità”. Ora, grazie alla legge di luglio, quella falsità potrebbe essere punita con la sanzione amministrativa speciale del blocco del finanziamento del partito e non più con quella penale generale. Quindi, una volta restituito il maltolto nascosto nel bilancio alla Camera, Belsito potrebbe evitare la galera. Gli effetti sarebbero dirompenti anche per il futuro: la nuova legge impone ai partiti di presentare il loro rendiconto entro il 15 giugno alla Commissione per la trasparenza composta da magistrati perché ne verifichi la correttezza. “Ai partiti che nel rendiconto abbiano omesso o dichiarato dati difformi rispetto alle scritture contabili” dice la legge, “la Commissione applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo non dichiarato o difforme dal vero”.
Insomma se un partito fa il furbo per un milione di euro rischia al massimo un milione. Se davvero mancasse la sanzione penale, cioé se prevalesse l’interpretazione più garantista, la nuova legge, presentata come il colpo di ramazza dopo gli scandali Lusi, Belsito, Fiorito e Maruccio, e passata grazie a un’ampia maggioranza (Pd, Pdl, Udc, finiani e rutelliani, Lega astenuta) sarebbe stata trasformata in un colpo di spugna da un comma senza padri. Tutto avviene il 22 marzo 2012 in commissione Affari costituzionale alla Camera. Sul tavolo ci sono una dozzina di proposte di riforma presentate dai leader di di tutti gli schieramenti, da Casini ad Alfano, da Bersani a Maroni. Molte prevedono sanzioni durissime. I partiti fanno la faccia feroce, anche se ciascuno a modo suo, insomma. Quel giorno il presidente Donato Bruno propone di disattivare il collegamento per discutere su come accorpare tutte le proposte in un progetto unitario. Dal resoconto non si evince quindi cosa sia successo.
Una cosa è certa. Quando riparte il resoconto compare come per magia la norma che potrebbe depenalizzare il falso nei bilanci. Il Fatto ha chiesto lumi ai due relatori della legge: l’ex deputato Pdl Giuseppe Calderisi e Gianclaudio Bressa, rieletto nel Pd. Entrambi sostengono che la volontà del legislatore non era quella di depenalizzare. “Il rischio paventato finora solo da qualche magistrato”, spiega Bressa, “non esiste e se il risultato involontario fosse quello, si fa sempre in tempo a fare una nuova norma”. Anche Calderisi sostiene che “l’interpretazione corretta è quella che permette alla norma penale di restare efficace. La norma penale riguarda i reati compiuti mediante la falsificazione del bilancio. Ma nuova sanzione amministrativa per la semplice falsificazione del bilancio non salva chi ha rubato i soldi del partito, soggetto comunque alla legge penale”. Anche il pm Robledo è rinfrancato: “Se anche qualcuno avesse avuto l’intenzione di depenalizzare, come lei dice, la Procura di Milano ritiene che l’interpretazione corretta sia un’altra”. Alla fine saranno i giudici a decidere. A partire da quelli del caso Belsito.