Di quella notte in cui il cielo è crollato, gli emiliani ricordano il fiato spezzato e il cuore che per un istante lungo decenni si è fermato di battere. E’ il 20 maggio 2012 e la terra trema per la prima volta. Scala Richter 5.9. Poi una seconda scossa violenta il 29 e case e palazzi che si accartocciano lungo la via Emilia. Ad un anno di distanza restano gli scheletri di paesi che cercano di rialzarsi, una burocrazia lenta e soldi che a fatica arrivano nelle tasche dei cittadini. “L’emergenza è appena cominciata”, commenta Giuseppe Ganzerli, vice sindaco di Medolla, “non abbandonateci ora. Abbiamo bisogno di personale, ma a causa della crisi non possiamo assumere nuova gente. Monitoriamo i territori e cerchiamo di ripartire”. Medolla, Finale Emilia, Cavezzo, Mirandola, Novi, Carpi, Modena, Ferrara. Le vittime di una scossa lunga mesi sono disperse tra città che all’improvviso sono diventate note alle cronache nazionali. Piccoli centri di una pianura padana sconfinata tra chiese, portici e bar. Ad unirli le fabbriche e i capannoni di poli industriali tra i più importanti del Paese. Sono ancora lì come scheletri tra piloni di cemento piegati su se stessi e calcinacci radunati in un mucchio agli angoli delle strade.
L’allarme lo ha lanciato lo stesso Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna: “Riteniamo che a oggi i fondi per ricostruire possano non essere sufficienti. Nello specifico, manca un miliardo di euro”. I danni prodotti dal sisma del 2012 si attestano intorno ai 12 miliardi, tenendo presente che 27 persone hanno perso la vita e ci sono stati oltre 16 mila sfollati. Nel conto dei fondi stanziati si calcolano quasi 10 miliardi provenienti dallo Stato (2,5 miliardi per la gestione dell’emergenza, 6 miliardi per la ricostruzione di case e imprese, 50 milioni ricavati dalle politiche per il piano di sviluppo rurale e 50 da quelle legate alla ricerca e all’innovazione), 670 milioni di euro destinati dall’Unione Europea e circa 37 milioni raccolti con gare di solidarietà e iniziative specifiche. La sfida della Regione per il 2014 è quella di reperire i soldi mancanti che sul territorio potrebbero fare la differenza.
I centri storici tra macerie e edifici inagibili cercano di ripartire. 16 le zone rosse riaperte su di un totale di 22. Non abbandonare le piazze e le vie del paese per evitare che la vita ricominci in periferia è l’idea delle tante cittadine emiliane che si trovano a fare i conti con una burocrazia ancora molto lenta. Così Cavezzo, uno dei paesi più colpiti dalla seconda scossa del maggio 2012, ha visto la nascita del centro commerciale “5.9”: “Si tratta di una struttura”, racconta la commerciante Debora Tolomei, “con sedici attività tutte ospitate da container. Volevamo restare nel centro del paese per evitare di abbandonare la zona e così abbiamo preso l’iniziativa”. Al primo piano “Radio Emilia 5.9”, conduce i programmi un gruppo di ragazzi dai 18 ai 25 anni. Trasmettono ogni pomeriggio e raccontano della loro vita che è ricominciata tra ansie, paure e calcinacci.
Il colpo più duro è quello al settore produttivo. In Emilia vive il 14% della popolazione regionale con 51mla imprese e circa 175 mila addetti. Il terremoto e la crisi economica sono stati due elementi letali per settori di prestigio a livello locale e nazionale. Ricominciare è sempre più difficile. In una situazione critica anche le 6000 aziende agricole della zona che in un anno, secondo la denuncia della Coldiretti, non hanno ricevuto nemmeno un euro di finanziamento. Il danno nelle campagne dell’Emilia è stimato per circa un miliardo: 600 mila le forme di Parmigiano cadute con il sisma, 37 i caseifici colpiti tra Modena, Reggio Emilia, Mantova e Bologna e rovinati oltre 600 allevamenti.
Della notte che ha ferito a morte l’Emilia ora restano le paure, nella speranza che politici e amministratori locali possano dare maggiori certezze. “Tutti dobbiamo fare i conti con i fantasmi”, ha ricordato il sindaco di Cavezzo Stefano Draghetti, “e un danno psicologico molto forte”. Le strade sono vuote la sera, non si lasciano a casa le mogli da sole e in giardino le tende sono ancora montate. Si dorme sul divano quando gli incubi non lasciano pace. “Tutti quanti speravamo che la ricostruzione partisse prima. Vedere i piazzali vuoti senza cantieri non aiuta. In ogni caso andiamo avanti e sarà il tempo a dare la giusta misura della capacità di reazione della nostra comunità”.
di Martina Castigliani