Dopo vari incidenti di percorso è partita il 20 maggio da Oceanside, nel sud della California, la spedizione di Patrick Deixonne, esploratore francese, per analizzare in maniera scientifica il “settimo continente” e tracciarne una prima mappa. Di cosa stiamo parlando? Del “continente di plastica”, un’enorme isola galleggiante che si è formata nel corso del decenni nel Nord del Pacifico a causa del gioco delle correnti. Parte delle bottiglie, spazzolini, reti, imballaggi di ogni tipo scaricati in mare, praticamente 5 milioni di pezzi di plastica al giorno a livello mondiale, secondo i dati del’Onu, si addensano proprio lì. Così si è formato una sorta di nuovo continente, più grande dell’India, esteso su 3,4 milioni di chilometri quadrati, secondo le stime del Cnes, l’agenzia spaziale francese, che patrocina, assieme alla Nasa, l’iniziativa di Deixonne.

Quella “zuppa di plastica”, come venne definita dall’oceanografo americano Charles Moore, il primo che, nel 1997, casaualmente la scoprì, raggiunge in certi punti lo spessore di una trentina di metri. Ma in tutti questi anni pochi studi seri sono stati effettuati sulla più grande discarica galleggiante del mondo, “anche perché è situata in acque, fra le Hawaii e la California, poco interessate dalla navigazione mercantile o dal turismo – ha sottolineato nei giorni scosi Deixonne -: il fenomeno, per il momento, rigurda solo gli scienziati e gli ambientalisti”. Peccato, perché non si tratta solo di un problema estetico. Quell’amalgama, in preda alle correnti del vortice subtropicale del Pacifico del Nord, si addensa sempre più e si trasforma in pezzetti sempre più piccoli, coriandoli di plastica che vengono scambiati per cibo da cetacei, uccelli, pesci, tartarughe, che si ritrovano bloccato il sistema digestivo. Non solo: quell’ambiente si è rivelato propizio per la riproduzione di un emittero, l’Halobate sericeus, predatore di zooplancton e di uova di pesce, ulteriore minaccia a uno squilibrio dell’ecosistema.

Il settimo continente non può essere individuato con i satelliti. Bisogna andare sul posto per studiarlo, con un’imbarcazione e particolari strumenti di misurazione. Ed è un po’ incredibile che i primi a farlo siano dei francesi, non proprio direttamente toccati dal problema. 48 anni, membro della Società degli esploratori francesi, ex pompiere, originario della Guyana, Deixonne si imbatté nel problema nel 2009, attraversando il Nord del Pacifico durante una traversata a remi in solitaria. Da allora ha deciso di farne una crociata personale. Domani parte con un’imbarcazione in compagnia di specialisti, una biologa in particolare, mentre un’équipe di ricercatori li assisterà da terra. “Vogliamo effettuare misurazioni in più punti, per paragonare la concentrazione e la natura dei rifiuti”, ha precisato. In 6-7 giorni, partendo dalla costa californiana, dovrebbe raggiungere l’area più interessata dal fenomeno. Tutti via Internet potranno seguire in tempo reale la spedizione. Sarà anche installata una sonda su una boa derivante, per permettere una prima cartografia del problema. La spedizione, in realtà, avrebbe dovuto partire già l’anno scorso. Ma l’imbarcazione di Deixonne era stata bloccata in partenza da un guasto alla pompa dell’acqua, prodotto da una busta di plastica. Sistemato quel problema, in seguito una rete di pesca aveva provocato la rottura del timone. “Ma problemi del genere, dovuti all’eccesso di plastica in acqua – ha sottolineato l’esploratore –, sono sempre più frequenti in questa parte del mondo”.

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