Nessuno, ovviamente, lo dichiara in modo esplicito, ma per gli oppositori di Vegas il momento attuale potrebbe essere propizio. All’inizio di maggio, lo spoil system di Saccomanni ha sostanzialmente azzerato la squadra “tremontiana” presente negli uffici del dicastero economico. A farne le spese è stato soprattutto Vincenzo Fortunato, l’eterno capo di gabinetto appena sostituito da Daniele Cabras (non prima però di essere collocato al vertice delle dismissioni immobiliari pubbliche, un affare da 300 miliardi, su iniziativa del ministro uscente Vittorio Grilli). Una scelta significativa che spezza definitivamente quel consolidato filo rosso creatosi negli anni tra l’Authority e il ministero di via XX settembre. Fortunato era approdato al Ministero già nel 2001 accompagnando Giulio Tremonti non diversamente dagli attuali uomini chiave della Consob: il presidente Vegas, che di Tremonti è stato viceministro fino al 2006, e il direttore generale Gaetano Caputi, che nel 2008 era stato nominato responsabile legislativo presso lo stesso dicastero.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ovviamente, non ha il potere di intervenire in modo diretto sugli incarichi della Consob ma l’addio forzato dei tremontiani apre comunque nuovi scenari di cui la stessa iniziativa di Federconsumatori potrebbe rappresentare un indizio. “Ci auguriamo un cambio di rotta totale da parte della Consob, questo è certo – spiega ancora Avallone. Il fatto che questo possa quindi comportare un cambio dei suoi vertici è un discorso sul quale non possiamo esprimerci”. Il dirigente dell’associazione, insomma, non vuole sbilanciarsi ma a proposito della lettera non esita a parlare di “operazione di moral suasion per informare le istituzioni su ciò che abbiamo fatto e continueremo a fare a tutela dei risparmiatori e per esprimere inoltre la nostra opinione sul modo in cui si sta svolgendo l’attività della Consob”.
I fronti critici della gestione Vegas, oggi, si chiamano soprattutto derivati. Quelli di Siena, ovviamente, ma non solo. Perché “dei derivati – ricorda Francesco Bochicchio, avvocato e docente di diritto dei mercati finanziari alla Facoltà di Economia dell’Università di Parma – è stato fatto fino ad oggi un utilizzo mostruoso” tanto che le banche continuano a distribuirli alle imprese e gli enti pubblici, che vi hanno avuto accesso dal 2002 con la finanziaria di Tremonti, continuano a fare i conti con la presenza di questi ultimi nei loro bilanci. E la Consob che fa? “Vegas ha chiesto maggiori poteri per boccare la diffusione dei prodotti abusivi ma questo potere in realtà già esiste ed è stabilito dalla legge” sottolinea Bochicchio. Solo che “i prodotti abusivi sfuggono al controllo così che le grandi banche che li hanno costruiti e collocati finiscono per trovarsi in una situazione di privilegio rispetto ai comuni intermediari finanziari che, al contrario, sono obbligati a sottoporsi a una lunga serie di controlli burocratici. È una logica di disparità che ricorda molto il principio del too big to fail”.
E poi infine, c’è quella frase criptica – “Il nostro nemico non è più dentro gli inafferrabili mercati, ma nel lavoro che manca” – pronunciata lo scorso 6 maggio davanti al premier Enrico Letta e che a qualcuno è suonata come un sostanziale scarico di responsabilità. “Vegas ha spiegato che il problema principale non è di controllare i mercati ma di far sì che le aziende non chiudano – commenta Bochicchio. Ora, non ci sono dubbi sul fatto che l’attuale crisi sia gravissima, ma per quale motivo la salvaguardia delle aziende dovrebbe implicare la riduzione dei controlli sui mercati?”. Gira e rigira, insomma, si ritorna ancora una volta a quello strano realismo politico che aveva caratterizzato la celebre audizione al Senato di ottobre quando il presidente Consob aveva giustificato la sua nota avversione alle analisi degli scenari di probabilità – cavallo di battaglia, al contrario, per le associazioni dei consumatori – chiamando in causa quasi una sorta di interesse nazionale: “Se avessimo utilizzato quel tipo di approccio, avremmo disincentivato l’acquisto di titoli di Stato italiani” disse nell’occasione.
Alla vigilia di quell’audizione, Stefano Fassina, allora responsabile economico del PD, lo aveva invitato a “evitare la retorica e ad indicare i cambiamenti che intende apportare al progetto al fine di eliminare gli elevatissimi rischi di marginalizzazione del collegio, di annullamento dell’autonomia degli uffici preposti all’istruzione dei dossier più delicati e di opacità e arbitrarietà che graverebbero sulla presidenza”. Oggi Fassina siede nello stesso dicastero di Saccomanni in veste di viceministro, lo stesso incarico – ironia della sorte – che aveva Vegas sotto Tremonti. Ribadirà presto l’invito?