La scelta del Consiglio dei guardiani in vista delle elezioni presidenziali iraniane del 14 giugno era tra la legittimità e la stabilità. Con l’esclusione dalla rosa dei candidati dell’ex presidente, Akbar Hashemi Rafsanjani, vicino ai riformisti, e di Esfandiar Rahim Mashaei, pupillo del capo di Stato uscente Mahmoud Ahmadinejad, la massima autorità giuridica del Paese ha scelto la seconda. La sfoltita degli oltre 600 aspiranti candidati fa sì che in in lizza per il voto restino in otto, salvo che non siano accolti eventuali ricorsi.
A essere intaccata è però la sfida, su cui peseranno le decisioni della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. In mancanza di un favorito, la cerchia di quanti possono aspirare alla poltrona presidenziale vede almeno tre candidati in prima fila, che godono delle sue simpatie. I nomi sono quelli del capo negoziatore nei colloqui sul nucleare, Saeed Jalili, quello del sindaco di Teheran, Mohammad Baqe Qalifab, quello del consigliere per gli affari internazionali di Khamenei, Ali Akbar Velayayi. Tra questi, Jalili sembra essere considerato meglio piazzato agli occhi del vertice della Repubblica islamica, forte anche di uno stile di vita presentato come frugale, contrapposto a quello dei suoi avversari, anche esclusi, simboleggiato dalla Mercedes blu di Rafsanjani.
Il comunicato con cui il ministero dell’Interno ha annunciato la lista ufficiale dei candidati è arrivato nella tarda serata di ieri, dopo una giornata di indiscrezioni sulla possibile esclusione di Rafsanjani e Mashaei. La seconda era attesa. La candidatura di Mashaei avrebbe dovuto garantire ad Ahmadinejad di continuare a far valere la propria influenza sulla politica iraniana. Ma il presidente uscente è in rotta con il clero, sebbene nel 2005 e nel 2009 la sua figura sia servita a riunire i conservatori contro i riformisti, otto anni fa proprio a scapito dello stesso Rafsanjani.
L’esclusione di quest’ultimo era invece considerata improbabile. D’altra parte si tratta di uno dei pilastri della rivoluzione islamica assieme allo stesso Khamenei. Nel 2009 si avvicinò tuttavia all’Onda verde, il movimento che contestò la rielezione di Ahmadinejad a un secondo mandato presidenziale. Nonostante ciò ancora lo scorso anno fu confermato alla guida del Consiglio per il Discernimento, importante organo non elettivo.
I motivi delle due esclusioni non sono stati resi noti. Si sa soltanto il perché dei no alle 30 candidature femminili. Come ha spiegato martedì l’ayatollah Yazdi, le donne non possono correre per la presidenza. Sulla decisione contro Rafsanjani potrebbero invece pesare motivi d’età, almeno questa è la versione ufficiale più accreditata. L’ex capo di Stato, che servì tra il 1989 e il 1997, ha 78 anni e per i suoi oppositori è troppo vecchio per guidare il Paese. Ci sono tuttavia anche gli ammonimenti del presidente del Consiglio dei Guardiani, l’ayatollah Ahmad Jannati, e l’avvertimento che chiunque fosse stato coinvolto nelle proteste del 2009, sedizione nelle parole del regime, sarebbe stato dichiarato ineleggibile.
Frasi che secondo molti avevano come bersaglio proprio l’ex presidente di cui due figli sono finiti negli anni scorsi in carcere per il loro coinvolgimento nel movimento verde. Come sottolineato da al Monitor, sia Rafsanjani sia Meshaei sono considerate figure che avrebbero potuto compromettere il potere della Guida Suprema. Il sito ha ricordato a esempio le parole del primo sulle scarse probabilità che Bashar al Assad possa restare al potere. Una posizione di fatto opposta al sostegno di Teheran al governo di Damasco nella guerra civile che da oltre due anni sta insanguinando la Siria. Ma se Rafsanjani non sembra intenzionato a contestare la decisione del Consiglio altrettanto non farà Meshaei, accusato dal clero di appartenere a una corrente deviata contraria ai principi della rivoluzione islamica. È stato lo stesso Ahmadinejad ha annunciare che farà ricorso. “È stato vittima di un’ingiustizia”, ha detto il capo di Stato citato dall’agenzia Isna, “ritengo che non ci siano problemi con il leader, mi occuperò della vicenda fino all’ultimo”. Forse l’ultimo scontro con il vertice religioso della Repubblica per il presidente sotto pressione per la crisi economica in cui versa il Paese per via delle sanzioni internazionali contro il controverso programma nucleare e che negli ultimi mesi è diventato il bersaglio delle critiche del Parlamento.
Uscita di scena una figura simbolica come quella di Rafsanjani le poche speranze per il fronte riformista sono legate ai tre candidati passati indenni al vaglio dei Guardiani, Mohammad Reza Aref, già vicepresidente ai tempi del riformista Khatami, Hassan Rowhani, segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale durante la presidenza Rafsanjani e Mohammad Gharazi, già ministro del governo di Mir Hossein Mousavi sconfitto nel 2009 e finito agli arresti perché tra i leader dell’Onda verde.
di Andrea Pira