Marco Sani, ginecologo e medico legale raccoglie in un libro decine di storie, raccolte nel corso della mia attività di medico, prima e dopo il 22 maggio 1978, data in cui venne approvata la norma
“194. Storie di aborto. Dalla criminalità alla legalità”, è il titolo del libro (edizioni ‘C’era una volta’, 22 euro) che il professor Marco Sani, ginecologo e medico legale del policlinico Casilino di Roma, ha scritto in occasione del 35esimo anniversario della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, approvata il 22 maggio del 1978. “Un libro – spiega il dottor Sani – che affronta il tema dell’aborto fotografando l’esistente attraverso decine di storie, raccolte nel corso della mia attività di medico, prima e dopo l’approvazione della 194”. “Dall’entrata in vigore della legge – spiega l’autore – sono stati 35 i ricorsi per incostituzionalità della 194. Tutti i procedimenti sono stati respinti, ma dimostrano comunque che la norma sull’interruzione volontaria di gravidanza resta una delle più contestate”.
Nel libro ogni storia è reale e aiuta a rappresentare un momento storico o un caso giuridico. C’è un capitolo dedicato al caso Sallusti “per sottolineare la necessità di una corretta informazione” e un altro dedicato al caso di Chiara Corbella, che dopo la scoperta del cancro ha deciso di non abortire, scegliendo di morire non sottoponendosi alle cure necessarie.
“Prima del ’78 – spiega Sani – si registravano tra le 350 e le 450mila interruzioni di gravidanza l’anno, per lo più trattate in ospedale come aborti spontanei, quando in realtà erano procurati. L’anno successivo all’approvazione della 194, gli aborti documentati sono scesi a 237mila. Oggi i dati ministeriali parlano di 115mila interruzioni volontarie, nel 75% dei casi si tratta di donne straniere. Questo vuol dire che l’informazione e la contraccezione sono le forme primarie di prevenzione degli aborti e che le straniere di oggi sono le italiane degli anni ‘70. Nonostante in Italia oltre il 69% dei medici siano obiettori – spiega Sani – In Italia esiste un sommerso di aborti clandestini per cui ogni anno vengono condannati sette operatori sanitari per interruzioni praticate in strutture non idonee, per lo più studi medici privati”.
Secondo la Consulta di bioetica, composta da medici e filosofi, è proprio l’obiezione di coscienza, che in inglese prende il nome di ‘rifiuto delle cure’, uno degli aspetti principali che mette a rischio l’applicazione della legge 194 mentre, secondo Lisa Canitano, ginecologa e presidente dell’associazione ‘Vita di donna‘ quello che manca è una “geografia degli aborti” cioè una “mappatura ufficiale delle richieste di interruzioni di gravidanza provenienti dalla Asl che permetterebbe di ridurre le liste d’attesa”. Virginia Giocoli, avvocata civilista del movimento ‘Freedom for birth‘, afferma che “la stessa 194 prevede un bilanciamento tra obiezione di coscienza e applicazione della legge e obbliga le Regioni a garantire la continuità assistenziale, anche ricorrendo alla mobilità del personale”.
Libere di scegliere, dunque, di partorire, di abortire e di avere a disposizione i contraccettivi, come sottolinea un documento redatto nel novembre 2012 durante un convegno organizzato dalla società scientifica ‘Andria‘,ma anche libere dagli stereotipi e di condividere il proprio vissuto.