La Guardia di Finanza di Palermo ha portato alla luce un sistema attraverso il quale i boss avevano messo le mani sugli appalti per la metanizzazione in Sicilia. Gli agenti hanno sequestrato un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie
Mafia e metano. La Guardia di Finanza di Palermo ha portato alla luce un sistema attraverso il quale i boss avevano messo le mani sugli appalti per la metanizzazione in Sicilia. Gli agenti hanno sequestrato un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie, del valore complessivo di circa 48 milioni di euro, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su proposta della Procura della Repubblica.
Tutto è partito da un’indagine del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dal sostituto Dario Scaletta, che ha fatto emergere le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici, fra cui Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, negli affari delle società appartenenti ad un gruppo imprenditoriale che ha curato, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, la metanizzazione di diverse aree del territorio siciliano.
Il cuore dell’inchiesta è legato alla genesi del gruppo, costituito negli anni ’80 da un dipendente pubblico, grazie all’ investimento di ingenti risorse finanziarie di dubbia provenienza, sviluppatosi grazie alla protezione della mafia e ad appoggi politici, in particolare dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Il gruppo è arrivato a ottenere ben 72 concessioni per la metanizzazione di comuni della Sicilia e dell’Abruzzo, i cui lavori di realizzazione sono stati in più occasioni affidati in sub appalto ad imprese direttamente riconducibili a soggetti con precedenti per mafia e comunque vicini alla criminalità organizzata. L’inchiesta si è avvalsa di numerosi riscontri legati alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, Vincenzo Ferro, Antonino Giuffrè; al contenuto di alcuni pizzini sequestrati a boss mafiosi; all’ esame di decine di contratti di appalto e sub appalto per l’esecuzione di lavori connessi alle opere di metanizzazione. Gli investigatori hanno ricostruito la storia delle diverse società del gruppo in parallelo a quella della ricchezza accumulata nel tempo dalla famiglia del fondatore, subentrata nelle gestione dopo il suo decesso avvenuto nel 2000.
L’indagine si è poi estesa alle operazioni di cessione dell’ intero pacchetto azionario e del patrimonio delle società, nel 2004, per un corrispettivo di circa 115 milioni di euro, che avrebbe permesso agli eredi dell’imprenditore di “ripulire” gli ingenti proventi acquisiti grazie all’ appoggio di Cosa Nostra nella costituzione di nuove società, nell’ avvio di fiorenti attività commerciali e nell’ acquisto di beni immobili a Palermo e nella provincia di Sassari, tra appartamenti, ville e case di pregio.
Tra i beni sequestrati, in Sicilia e Sardegna, figurano società immobiliari e di produzione di metalli preziosi, imprese agricole, attività commerciali di prodotti petroliferi, oggetti d’arte, appartamenti, uffici, locali affittati ad importanti aziende e catene commerciali immobili, locali commerciali, opifici, autorimesse, magazzini e disponibilità bancarie.