gabbiano jonathan livingstonC’è chi è stato costretto a leggerlo dalle suore, chi l’ha interpretato nella recita delle elementari. C’è chi, invece, l’ha dimenticato perché il ricordo di Lessico Famigliare era ben più terrificante, chi lo ritiene un libro formativo se circoscritto entro una certa età.

In qualsiasi modo sia successo, chiunque vi abbia obbligato a leggerlo, nessuno è passato indenne da Il gabbiano Jonathan Livingston. Librino agevole, dal formato supertascabile, corredato da pittoresche fotografie di pennuti impegnati in voli spericolati, questo miracolo dell’editoria moderna è nelle librerie italiane dal lontano 1977 ed ha venduto oltre due milioni di copie pari a 60 edizioni, numeri che da soli hanno tenuto in piedi la casa editrice che l’ha pubblicato, la gloriosa Biblioteca Universale Rizzoli (BUR).

L’autore, scrittore per caso, era pilota dell’aeronautica americana, tale Richard Bach, conosciuto parimenti per i suoi racconti di aviazione, tra cui appunto lo scellerato Jonathan Livingston, e per la sua omonimia con lo scopritore di essenze curative, i cosiddetti “fiori di Bach”.

La storia è quella di un gabbiano illuminato che stanco di volare nello stormo per il solo gusto di procacciarsi del cibo, decide di dedicarsi all’arte del volo, voglioso di conoscere il suo limite e di superarlo: la picchiata verticale, l’atterraggio rasoterra, la velocità in virata, solo questo lo rallegrava, e non assaltare i pescherecci, non la “pappatoria”. “Ma perché, Jon, perché?” gli domandò sua madre. “Perché non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Ci vuole tanto poco! Ma perché non lasci ai pellicani il volo radente? Agli albatri? E perché non mangi niente? Figlio mio, sei ridotto penne e ossa!”. “Non m’importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di sapere”. Ecco spiegato il significato del libro: mai uniformarsi alla massa, ascoltare la propria legge interiore e rispettarla anche quando ci porta lontano dalle persone che ci amano. Bene, chiarissimo. Peccato che siamo a pag. 14. Il resto del libro, tra una virata e l’altra, ribadisce in frasi più o meno identiche questo stesso messaggio che, per carità, può funzionare in astratto ma nel concreto è una noia mortale.

Il libro di Bach è una favola, che, senza troppe pretese, ha colpito i cuori dei romantici e di qualche critico, diventando così un cult dai meriti poco riconoscibili. Qualcuno potrà obiettare che il racconto va contestualizzato nell’ambito del suo pubblico di riferimento. Ok, facciamolo. Ma qual è il suo pubblico di riferimento? Difficile spiegare a un bambino il significato di una battuta del genere: “Ricordati, Jonathan, il paradiso non si trova nello spazio né nel tempo, poiché lo spazio e il tempo sono privi di senso e di valore”. Difficile convincere un adolescente del perché lo Stormo Buonappetito decida all’unanimità di esiliare un suo membro per aver violato, volando, “la dignità della Grande Famiglia de’ Gabbiani”… Ci uniamo al cordoglio ma consigliamo ai ragazzi di tenersi stretto Siddharta.

 

 

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